La visita del presidente del Ciad, Idriss Deby, che martedì scorso si è recato a Gerusalemme per incontrare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, sancisce l’imminente ripresa delle relazioni tra i due paesi dopo più di mezzo secolo. E registra anche un punto a favore nel compimento della strategia africana che Netanyahu porta avanti da un decennio, in cerca di voti negli organi dell’Onu e di sinergie nella lotta al terrore.
Al centro dei colloqui tra i due leader la lotta contro il terrorismo, nella quale il paese africano è impegnato su due fronti partecipando alla coalizione Multinational Joint Task Force (Mnjtf), che combatte il gruppo jihadista Boko Haram nell’area del Lago Ciad, e alla forza militare congiunta G5 Sahel, operativa nel contrasto dei gruppi estremisti islamici attivi nella vasta area desertica.
La collaborazione tra i due paesi nell’ambito della sicurezza era comunque già in corso, come testimonia il Registro delle armi convenzionali delle Nazioni Unite (Unroca), secondo cui, dal 2015 Israele ha fornito all’esercito del Ciad 11 carri armati RAM MK3 ed equipaggiamento militare.
La strategia africana di Netanyahu
All’inizio degli anni Settanta, Israele manteneva rapporti diplomatici con 33 dei 54 Stati del continente africano, poi dopo la guerra dello Yom Kippur nell’ottobre 1973, la maggior parte dei paesi sub-sahariani ha rotto i rapporti diplomatici con Tel Aviv, in conformità con la risoluzione dell’Oua (Organizzazione dell’unità africana), sostenuta dall’Egitto, che chiedeva la formale interruzionedelle relazioni con lo Stato ebraico.
A livello diplomatico, la decisione costituì un duro colpo per Tel Aviv, che all’epoca intrattenevaottimi rapporti diplomatici con i paesi africani, molti dei quali furono tra i primi a riconoscere lo Stato d’Israele votando a favore del piano di partizione della Palestina elaborato dall’Unscop. Da quando, quasi dieci anni fa, Netanyahu è tornato a ricoprire la carica di primo ministro, ha dimostrato particolare interesse nel voler ricucire i rapporti con il continente, intraprendendo una vera e propria strategia di riavvicinamento verso l’Africa.
Una strategia che all’epoca molti ritenevano destinata al fallimento, in conseguenza del fatto che molti paesi africani sono a maggioranza musulmana e questo avrebbe reso impossibile qualsiasi tentativo di riavvicinamento se prima non si fossero registrati significativi progressi nei negoziati tra Israele e i palestinesi.
Ma nonostante le difficoltà poste dalla questione palestinese, Netanyahu è riuscito a perseguire una strategia di distensione con l’Africa, anche nei paesi come il Ciad, in cui l’Islam è dominante. Il premier israeliano cominciò a riallacciare le relazioni con gli Stati africani nell’autunno del 2009, pochi mesi dopo la sua nuova nomina alla guida della Knesset, inviando in visita in cinque Stati africani Avigdor Lieberman, allora ministro degli Esteri del suo Gabinetto di governo.
Lieberman si recò ancora nel continente nel giugno 2014, per una visita di dieci giorni in Ruanda, Costa d’Avorio, Ghana Etiopia e Kenya. La missione diplomatica preparò il terreno al primo viaggio ufficiale di un capo di governo israeliano in Africa dopo 22 anni: quello che nel luglio 2016 ha condotto Netanyahu in Uganda, Kenya, Etiopia e Ruanda.
Il premier israeliano ha ulteriormente intensificato le relazioni africane tornando nel continente per ben due volte in 18 mesi. La prima per partecipare al 51esimo Vertice della Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas), tenuto nel giugno 2017 a Monrovia in Liberia, dove Netanyahu ha firmato un memorandum d’intesa da un miliardo di dollari per realizzare progetti di energia verde. Poi, cinque mesi dopo il leader israeliano è volato in Kenya per presenziare, insieme a dieci capi di Stato africani, alla cerimonia ufficiale del giuramento del presidente Uhuru Kenyatta.
Tuttavia, va ricordato che non è riuscito a realizzare il suo intento di organizzare un vertice Israele-Africa per consolidare i rapporti con il continente. Il Forum che si sarebbe dovuto svolgere nell’ottobre 2017 a Lomé, la capitale del Togo, è stato ufficialmente cancellato per motivi di sicurezza, ma gli analisti politici africani ritengono che l’evento sia stato soppresso perché ospitare una conferenza di tale natura avrebbe definitivamente legittimato la presenza di Israele in Africa.
Le ragioni del riavvicinamento ai paesi africani
Diverse sono le motivazioni che hanno mosso l’intenso impegno israeliano nell’imprimere un significativo cambiamento ai rapporti con l’Africa. La principale è racchiusa nel fatto che nell’offrire il proprio know-how, soprattutto nell’ambito della sicurezza. Israele cerca come controparte il sostegno dei paesi africani al Consiglio di Sicurezza, all’Assemblea Generale e al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, oltre che all’Unesco.
Un sostegno che potrebbe risultare decisivo specialmente in seno al Consiglio di Sicurezza, dove i palestinesi tentano invanoda tempo di ottenere i consensi necessari per andare a una votazione dei 15 membri per il riconoscimento dell’indipendenza del loro Stato. Tuttavia, sullo sfondo rimane anche la controversa apertura dell’ambasciata americana a Gerusalemme, che ha creato un certo imbarazzo diplomatico in diversi paesi dell’area, che sostengono la linea dell’Unione africana favorevole alla soluzione dei due Stati per trovare una soluzione alla questione israelo-palestinese.
Tutto questo, indica che è ancora troppo presto per arrivare al punto in cuitutti i paesi africani si uniranno al blocco di quelli che sostengono Israele in ogni consesso internazionale. I processi diplomatici richiedono tempo e gli orientamenti di voto alle Nazioni Unite maturati negli anni, non possono cambiare in maniera repentina, nemmeno dopo la formale ripresa di relazioni diplomatiche.
Non dovremmo però sottovalutare che il Ciad esercita una certa influenza in seno all’Unione africana e quindi l’aver instaurato buone relazioni con N’Djamena costituisce un punto a favore nel compimento della strategia africana diBenjamin Netanyahu.