La rivendicazione dell’attentato compiuto il giorno di Natale contro il ministero degli Esteri di Tripoli è stata diffusa da Amaq, l’organo di propaganda semi-ufficiale delle operazioni dell’Isis, che ha attribuito l’attacco a tre soldati della Wilayah (provincia) dello Stato Islamico in Libia. La paternità dell’azione è l’ennesima riprova che la potente organizzazione jihadista continua a colpire attraverso i gruppi che le hanno giurato fedeltà.
Secondo un’analisi pubblicata dal centro studi statunitense di geopolitica Critical Threats (CT), lo Stato Islamico non solo non è stato sconfitto, ma è ancora vivo e vegeto, soprattutto in vari paesi dell’Africa, dove i suoi militanti hanno sviluppato diverse basi d’appoggio, specialmente nelle regioni maggiormente interessate da instabilità, conflitti e da una cattiva governance.
Per supportare la sua tesi, la disamina di CT pone in evidenza alcuni recenti episodi, a cominciare dal barbaro assassinio di due turiste scandinave, consumato lo scorso 17 dicembre alle pendici del Monte Toubkal, in Marocco. Si tratta del primo omicidio ispirato dallo Stato Islamico nel paese nordafricano, rivendicato di suoi autori come una vendetta per le operazioni contro i seguaci dell’ex Califfato in Siria. L’efferato crimine ha colto di sorpresa le autorità marocchine, che a partire dal 2015 avevano neutralizzato tutte le cellule degli aspiranti seguaci dell’Isis.
Un altro episodio degli ultimi giorni, citato nell’analisi, è l’arresto da parte della polizia italiana del somalo Mohsin Ibrahim Omar, noto come Anas Khalil, che era in contatto con una cellula dello Stato Islamico nel suo paese d’origine per realizzare attentati contro le chiese di Roma e colpire anche San Pietro in Vaticano. Pur essendo relativamente ridotta la presenza dello Stato Islamico in Somalia, che un rapporto Onu dello scorso anno stimava in circa duecento unità, le indagini che hanno condotto alla cattura del presunto terrorista somalo hanno mostrato che il gruppo può fungere da collegamento per pianificare attacchi esterni.
Per quanto riguarda la Libia, dove ha rivendicato il recente l’attacco al ministero degli Esteri, lo Stato Islamico dopo aver perso nell’agosto 2016 il controllo della città costiera di Sirte, attualmente starebbe ricostruendo la sua forza combattente. Lo scorso settembre, il gruppo ha rivendicato la responsabilità di un attacco suicida nella capitale Tripoli contro la sede della National Petroleum Company. Mentre alcuni mesi prima, all’inizio di maggio, due attentatori suicidi hanno ucciso 14 persone durante un assalto conto la sede della Commissione elettorale a Tripoli. A tutt’oggi la Libia rappresenta un rifugio per i militanti dello Stato Islamico che cercano di dare sostegno logistico agli attacchi in Europa, come quello perpetrato il 23 maggio 2017 all’arena di Manchester, dove Salman Abedi, militante dell’Isis di origini libiche, uccise 22 persone al termine di un concerto della popstar statunitense Ariana Grande.
Salman Abedi, nato nel 1994, era il terzo di quattro figli di una coppia di profughi emigrati nel Regno Unito per sfuggire al regime del colonnello Gheddafi. Secondo il New York Times, Abedi aveva preso direttamente contatto con alcuni membri di una brigata dello Stato Islamico a Sabrata, in Libia, dove avrebbe ricevuto una sorta di addestramento e il materiale per costruire l’ordigno utilizzato nell’attentato.
La presenza dello Stato Islamico è ben strutturata in Nigeria, dove negli ultimi mesi la Wilaya Gharb Ifriqiya, la Provincia dell’Africa Occidentale dello Stato Islamico (Iswap) ha intensificato gli attacchi contro le basi militari nel Nord-est del paese infliggendo elevate perdite e rubando l’equipaggiamento ai soldati nigeriani (per maggiori dettagli si rimanda a https://tinyurl.com/y7fxw2ho).
Mentre in Mali, Niger e Burkina Faso, lo Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS) ha esteso il suo raggio d’azione dopo l’uccisione, nell’ottobre 2017, di quattro militari statunitensi nel villaggio di Tongo in Niger, in prossimità del confine con il Mali. Il gruppo ha anche alimentato la violenza etnica in Mali e l’insorgenza jihadista in Burkina Faso.
La minaccia dello Stato Islamico in Tunisia è diminuita da quando gli attacchi del 2015 hanno messo in ginocchio il turismo. Anche le forze di sicurezza tunisine hanno migliorato la loro capacità di prevenire le attività terroristiche. Tuttavia, le reti dell’Isis sono ancora attive nelle aree remote del paese, dove avrebbero trovato rifugio i militanti. Le autorità locali hanno collegato allo Stato Islamico l’attentato suicida dello scorso 29 ottobre a Tunisi, pur ritenendolo un episodio isolato.
La presenza dell’Isis in Africa si estende anche ad altri paesi. Primo fra tutti l’Egitto, dove i militanti del Wilaya Sinai, ossia la branca egiziana dello Stato islamico, hanno rivendicato numerosi attacchi nella penisola sinaitica. Mentre le forze di sicurezza in Algeria hanno recentemente sgominato una cellula dello Stato islamico, anche se una parte di questa rete sarebbe ancora attiva nel paese. La presenza di militanti che fanno riferimento allo Stato Islamico è stata segnalata anche in altri paesi del continente, tra cui la Repubblica democratica del Congo, il Mozambico e il Sudafrica.
Secondo l’analisi del CT, il fenomeno è ancora presente in Africa perché permangono le condizioni che ne hanno permesso l’ascesa. Il movimento salafita, che include lo Stato Islamico e al Qaeda, trae la sua forza non solo dal controllo del territorio, ma anche dalla sua capacità di costruire legami con popolazioni rese vulnerabili dalla guerra e dai fallimenti del governo nel garantire alla popolazione i servizi primari.