A tre anni esatti dall’attacco alla base Amisom di El-Ade, dove morirono 141 militari keniani, al-Shabaab ieri pomeriggio è tornato a insanguinare Nairobi prendendo d’assalto un complesso alberghiero nell’elegante quartiere di Westland. Il bilancio provvisorio delle venti ore di assedio è stato annunciato alla nazione dal presidente Uhuru Kenyatta, che ha confermato 14 vittime e l’uccisione di tutti e cinque i terroristi del commando.
Trascorsi vent’anni dall’attentato terroristico all’ambasciata statunitense di Nairobi, il Kenya è ancora sotto attacco. L’azione che ha provocato 14 morti nel quartiere di Westland evidenzia che al-Shabaab può ancora contare su validi appoggi nella capitale. Gli sforzi che le autorità locali portano avanti da due decenni per reprimere la minaccia dell’estremismo islamico nel loro paese non hanno ancora sortito l’effetto primario: eliminare la possibilità che il gruppo jihadista al-Shabaab colpisca sul loro territorio.
E ieri pomeriggio cinque miliziani del movimento somalo, ufficialmente legato ad al-Qaeda dal febbraio 2012 (ma in contatto con i vertici dell’organizzazione almeno dal 2009), sono tornati a insanguinare la capitale Nairobi attaccando una struttura nell’elegante quartiere di Westland.
Secondo alcuni media locali, i terroristi sarebbero rimasti asserragliati fino all’alba all’interno del complesso che ospita diversi negozi, ristoranti e il lussuoso hotel DusitD2. L’azione è cominciata con un attentatore suicida che si è fatto esplodere nel foyer dell’albergo e dopo è seguita l’irruzione di quattro uomini armati all’interno del complesso. Le stesse modalità con cui in passato al-Shabaab, che ha rivendicato l’attacco, ha colpito altri hotel nella capitale somala Mogadiscio.
Il bilancio provvisorio delle venti ore di assedio è stato annunciato alla nazione dal presidente Uhuru Kenyatta, che ha confermato che le vittime sono 14 e i terroristi sono stati tutti uccisi, mentre le forze di sicurezza keniane sono riuscite ad evacuare circa 700 persone.
I precedenti
Non è la prima volta che Nairobi finisce nel mirino del terrorismo islamico. Ricordiamo lo spaventoso attacco rivendicato da al-Qaeda, che il 7 agosto 1998 distrusse la locale ambasciata statunitense a Nairobi provocando 213 morti e quasi 4.000 feriti, compresa l’ambasciatrice Patricia Bushnell (pochi minuti prima era stata bombardata anche la rappresentanza diplomatica Usa a Dar es-Salaam in Tanzania).
Una spirale di terrore il 28 novembre 2002 investì nuovamente il Kenya, dove furono presi di mira due obiettivi israeliani: l’Hotel Paradise di Mombasa, in cui morirono 16 persone, e quasi simultaneamente due missili terra-aria SAM 7 sfiorarono un Boeing 757 della compagnia israeliana Arkya in fase di decollo dall’aeroporto internazionale Moi di Mombasa. L’aereo era diretto a Tel Aviv con a bordo più di duecento persone fra passeggeri e membri dell’equipaggio.
Poi, nel primo pomeriggio di sabato 22 settembre 2013, al-Shabaab conquistò drammaticamente la ribalta della cronaca internazionale con il sanguinoso attentato al centro commerciale Nakumatt Westgate di Nairobi, dove per ottanta ore dieci terroristi somali tennero in ostaggio centinaia di persone, 67 delle quali rimasero uccise.
Il Kenya è stato nuovamente colpito il 2 aprile 2015, giorno della vigilia del venerdì santo, quando un manipolo di miliziani di al-Shabaab fece irruzione all’interno della North-Eastern Garissa University, situata a 150 chilometri dal confine con la Somalia. L’azione si concluse con un bilancio pesantissimo in termini di vite umane: 147 morti e settantanove feriti, quasi tutti studenti che frequentavano il campus.
Ma le azioni del gruppo jihadista in Kenya non si limitano alle carneficine sopra descritte, come testimonia l’aumento della cadenza di attacchi all’interno del paese. Attacchi compiuti principalmente nelle contee settentrionali e orientali di Mandera, Wajir, Garissa, Lamu e Tana River, dove negli ultimi tre anni sono stati uccisi da al-Shabaab almeno 100 soldati dell’esercito keniano.
La scelta dell’obiettivo
Per capire le dinamiche che caratterizzano questo nuovo attacco di al-Shabaab in Kenya, è importante sottolineare quanto riferito dalle autorità keniane all’agenzia Dpa, secondo cui al-Shabaab avrebbe scelto di colpire il DusidD2 perché al suo interno si sarebbe dovuta tenere una conferenza alla quale avrebbero dovuto partecipare dei cittadini statunitensi. Ma la sede della conferenza era stata cambiata all’ultimo minuto e così quando gli assalitori non sono riusciti ad irrompere nell’albergo, si sono riversati nell’edifico adiacente.
L’obiettivo era dunque quello di uccidere gli americani, che continuano a bombardare le basi di al-Shabaab in Somalia (ben quattro solo nei primi giorni del 2019), oltre a infliggere una punizione anche ai keniani, che hanno fornito uomini e logistica al contingente Amisom, la missione dell’Unione Africana per stabilizzare la Somalia.
Quanto avvenuto tra il pomeriggio di ieri e le prime ore dell’alba di oggi porta alla conclusione che al-Shabaab abbia ancora validi appoggi a Nairobi, che gli hanno consentito di pianificare nei dettagli l’attacco. A riguardo, gli estremisti potrebbero essersi avvalsi anche dell’ausilio della rete di prostitute usate come spie, portata di recente alle cronache da Katharine Petrich, ricercatrice presso la Naval Postgraduate School di Monterey, in California.
La ricorrenza
C’è anche da sottolineare il fatto che i terroristi di al-Shabaab sono stati sempre motivati ad agire in occasione di importanti ricorrenze di attentati. Non a caso, proprio ieri ricorreva il terzo anniversario dell’attacco contro la base della missione dell’Amisom a el-Ade in Somalia, dove furono uccisi 141 soldati keniani.
Quanto ai finanziamenti per organizzare questo genere di attentati, un recente studio della Fondazione per la difesa delle democrazie di Washington, ha rilevato che i sovvenzionamenti al gruppo provengono principalmente da un ampio sistema di tassazione. Dal 2016, le tasse sullo zucchero e sul bestiame sono diventate sempre più importanti per al-Shabaab, specialmente dopo che gli Emirati Arabi Uniti hanno tangibilmente ridotto l’importazione del carbone somalo, che garantiva cospicui tributi al movimento estremista. E attualmente, un’ingente mole di denaro, stimata nell’ordine di settanta milioni di dollari annui, arrivava all’organizzazione tramite tasse, estorsioni, contributi volontari, bracconaggio, pesca e rimesse dalla diaspora somala.
La colonna keniana
Va anche ricordato che in Kenya è attiva una fazione di al-Shabaab, nota come Jaysh Ayman, che prende il nome dal suo fondatore Maalim Ayman. I miliziani del gruppo sono in gran parte nativi della regione costiera del Kenya e hanno lanciato il loro primo attacco nel giugno 2014, quando circa 50 miliziani bersagliarono il bar di un hotel nella città di Mpeketoni, uccidendo 40 persone. Da allora, spesso facendo uso di granate e ordigni artigianali, la colonna keniana ha continuato a compiere attentati nella regione, macchiandosi anche della strage nel campus universitario di Garissa.
Sta di fatto che a più di venti anni di distanza dall’attacco all’ambasciata Usa di Nairobi, le autorità keniane non sono ancora riuscite a neutralizzare la minaccia di al Qaeda e del suo affiliato più sanguinario, che continua a rappresentare un serio pericolo per la sicurezza del più sviluppato paese dell’Africa orientale.
Articolo pubblicato su Nigrizia.it