La Fondazione Thomson Reuters ha affrontato la questione del nucleare civile in Africa cercando di capire se sia veramente la migliore alternativa per rispondere alla crescente domanda di energia elettrica del continente. Dall’analisi emerge che diversi paesi africani potrebbero seguire la via del nucleare intrapresa dal Sudafrica, ma dovranno tener conto dei costi elevati e dei rischi per la sicurezza e per l’ambiente.
Da tempo il continente africano si trova ad affrontare il problema di una crescente domanda di elettricità per sostenere lo sviluppo economico e il fabbisogno energetico di una popolazione che aumenta a ritmo vertiginoso. Una sfida di vaste proporzioni, considerato che in Africa sub-sahariana il 57% della popolazione non ha accesso all’elettricità, mentre i 48 paesi che fanno parte della macro-regione producono la stessa quantità di energia elettrica della Spagna, nonostante una popolazione 18 volte superiore.
Per affrontare una simile emergenza, gli esperti della fondazione Thomson Reuters si interrogano se il nucleare civile sia veramente la migliore alternativa per rispondere alla crescente domanda africana di energia elettrica.
In un approfondimento, in cui monitora le aspirazioni nucleari di vari paesi del continente, la fondazione londinese rileva cha ad oggi il Sudafrica è l’unico Stato ad essersi dotato di una centrale di questo tipo, la cui potenza netta complessiva è pari a 1.830 megawatt.
Tuttavia, presto altri paesi dell’area potrebbero seguire la via del nucleare intrapresa da Pretoria, come conferma l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), secondo cui oggi più di un terzo dei trenta paesi candidati all’energia nucleare sono africani, alcuni dei quali (Egitto, Ghana, Kenya, Marocco, Niger, Nigeria e Sudan) hanno già reattori di ricerca.
Il fatto che a breve l’energia nucleare non sarà più un’opzione limitata al mondo industrializzato viene confermato anche in studio della World nuclear association (Wna), che ricorda come, a partire dal 2016, sette paesi sub-sahariani (Etiopia, Kenya, Uganda, Nigeria, Rwanda, Zambia e Ghana) abbiano firmato accordi con la Rosatom, l’azienda di Stato russa specializzata nella realizzazione e nella conduzione di impianti nucleari. Altri accordi di cooperazione nella costruzione di centrali nucleari sono stati conclusi da Kenya, Sudan e Uganda con la China national nuclear corporation, la più importante azienda nucleare statale cinese.
Particolare attenzione viene riservata all’Etiopia, sempre più indirizzata verso l’impiego del nucleare per soddisfare la crescente domanda di energia e il suo obiettivo di diventare il più grande esportatore di elettricità del continente africano, prestando nel contempo attenzione a regolamentare le emissioni di gas serra.
Nell’ambito del suo secondo piano di sviluppo per il quinquennio 2015-2020, Addis Abeba intende aumentare la produzione di energia dalla capacità attuale di poco più di 4.200 megawatt, fino a 17mila, principalmente sfruttando fonti idriche, eoliche e geotermiche, ma realizzando anche una centrale nucleare.
Lascia tuttavia perplessi che in un momento in cui molti paesi nel resto del mondo si stanno disimpegnando dalla produzione di energia attraverso il nucleare, in Africa il fervore per questa soluzione sta crescendo. Sembra che i governi interessati non tengano in considerazione i costi assai elevati, i problemi da superare per ottenere la tecnologia nucleare e i rischi per la sicurezza e per l’ambiente.
Senza contare le difficoltà nel reperire finanziamenti, la possibilità di ritardi e contrattempi nella realizzazione tecnica dei progetti, verificatisi anche in paesi maggiormente sviluppati con collaudate capacità gestionali, come ad esempio la Francia. Ritardi e contrattempi che lievitano i costi di realizzazione degli impianti in maniera esponenziale. Inoltre, sui programmi nucleari delle nazioni africane gravano ulteriori incognite che vanno dagli standard di controllo delle miniere di uranio alla gestione delle scorie radioattive, oltre alla corruzione, che attanaglia molti paesi del continente.
Tutto questo induce a considerare che anche in Africa il ricorso alle rinnovabili come fonte energetica integrativa è preferibile a ogni altra soluzione. Del resto, l’ultimo World Nuclear Report, pubblicato lo scorso settembre, conferma che il nucleare è in declino nel mondo, mentre le rinnovabili sono in forte crescita (nel 2017 la potenza nucleare installata è cresciuta a livello globale solo dell’1%, mentre quella solare del 35% e quella eolica del 17%). E questo è un dato di fatto inoppugnabile, di cui gli Stati africani che guardano al nucleare dovrebbero tener conto.
Articolo pubblicato su Nigrizia.it