Il Mali centrale è diventata l’area più pericolosa della nazione dell’Africa occidentale, dove nel 2018 a causa delle violenze più di 500 civili hanno perso la vita e 60mila persone sono state costrette alla fuga. Mentre nella regione di Mopti 972mila persone hanno bisogno di assistenza umanitaria. Tutto questo, nonostante il crescente impegno militare internazionale e regionale per contrastare l’insorgenza jihadista nel Mali centrale.
Allo stesso modo in cui il Mali centrale è diventato il fulcro degli attacchi estremisti all’interno del paese, il Mali in generale ha registrato il 64% di tutti gli episodi violenti legati ai gruppi militanti islamisti attivi nel Sahel. Mentre l’aumento della violenza è attribuito a una coalizione di gruppi estremisti che sotto l’egida di al Qaeda nel Maghreb islamico nel marzo 2017 si sono riuniti sotto la sigla del Jama’at Nusrat al Islam wal Muslimeen (JNIM, Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani), un gruppo in particolare ha svolto un ruolo di primaria importanza in questa destabilizzazione: il Fronte di liberazione della Macina (Flm), noto anche come Katiba Macina, che lo scorso anno è stato collegato al 63% di tutti gli eventi violenti nel Mali centrale e ad un terzo degli eventi violenti in tutto il Mali.
Una ricerca del Centro di studi strategici sull’Africa (Acss) con sede a Washington ha esaminato le dinamiche con cui l’Flm è riuscito a confermarsi come uno dei gruppi militanti islamici più attivi in Mali, anche dopo l’eliminazione del suo carismatico leader Amadou Koufa (che tuttavia l’emiro Abdelmalek Droukdel, leader di al Qaeda nel Maghreb islamico, lo scorso dicembre ha smentito).
Lo studio dell’Acss è disponibile a questo link