La questione israelo-palestinese è stata al centro dell’attività jihadista in Africa. Il gruppo qaedista al Shabaab e al Qaeda nel Maghreb islamico hanno rivendicato due attentati in Kenya e in Mali facendo esplicito richiamo alla causa palestinese e al tradimento dei paesi musulmani che stringono nuove relazioni con lo Stato ebraico. Un’analisi pubblicata dal New York Times evidenzia i legami tra al Qaeda e la causa palestinese.
elle ultime settimane, i gruppi militanti islamici legati ad al-Qaeda attivi in Africa hanno inneggiato al sostegno della causa palestinese per rivendicare due pesanti attacchi in Kenya e in Mali. Il primo è quello in Kenya contro il complesso alberghiero DusitD2 nell’elegante quartiere di Westland, nel cuore della capitale Nairobi, dove lo scorso 15 gennaio sono morte 21 persone.
L’attentato è stato rivendicato dal gruppo estremista somalo al-Shabaab come rappresaglia alla decisione del presidente statunitense Donald Trump di riconoscere Gerusalemme capitale d’Israele. L’altro attacco è stato perpetrato lo scorso 20 gennaio ad Aguelhoc, nel nord-est del Mali, contro un compound della Minusma, la missione delle Nazioni Unite dispiegata nel paese.
L’azione, in cui sono rimasti uccisi dieci caschi blu e 25 feriti, è stata rivendicata da al-Qaeda nel Maghreb islamico che ha definito l’attacco come una risposta alla decisione del Ciad di rinnovare le sue relazioni diplomatiche con Israele. La base che ospita i peacekeeper ciadiani è stata colpita all’indomani della visita di stato del premier Benjamin Netanyahu in Ciad per incontrare il presidente Idriss Deby e firmare una dichiarazione per il ripristino delle relazioni bilaterali, interrotte 47 anni fa.
Una recente analisi pubblicata sul New York Times ricorda che la sofferenza del popolo palestinese è stata una delle cause che hanno indotto al-Qaeda ad attaccare gli Stati Uniti. Il quotidiano newyorchese evidenzia che Osama bin Laden nel suo primo proclama dopo l’inizio dell’operazione statunitense Enduring Freedom in Afghanistan, sottolineò la saldatura della causa del movimento da lui fondato con quella palestinese, chiamando tutto il mondo islamico alla guerra santa contro gli Stati Uniti, responsabili dell’appoggio dato a Israele.
Un legame radicato quello con la causa palestinese: le biografie di bin Laden riportano che quando era adolescente il fondatore di al-Qaeda pianse vedendo le immagini dei palestinesi sfollati costretti a lasciare la loro terra. Senza dimenticare il messaggio, diffuso lo scorso 14 maggio, nel quale l’attuale leader di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, condannava il trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme.
Mentre il SITE Intelligence Group – che monitora l’attività jihadista sul web e sui social – ricorda che nei giorni seguenti al trasferimento dell’ambasciata Usa, la leadership di al-Qaeda si era espressa con decisione nel sostenere il jihad contro la “giudaizzazione” della Palestina.
La sopracitata analisi del New York Times avanza anche l’ipotesi che Israele tragga beneficio dagli attacchi terroristici nei paesi africani, dal momento che “la violenza può essere utile per portare avanti l’impegno di Israele nel stringere relazioni con i regimi africani, in particolare sulle questioni di sicurezza”.
I tre autori dello studio affermano che nell’offrire il proprio know-how nell’ambito della sicurezza, Israele cerca come controparte il voto dei paesi africani al Consiglio di Sicurezza. A riguardo, è importante ricordare che all’inizio degli anni Settanta, lo stato ebraico manteneva ottimi rapporti diplomatici con 33 dei 54 stati del continente africano, molti dei quali furono tra i primi a riconoscere Israele votando a favore del piano di partizione della Palestina, elaborato dall’Unscop.
Poi, dopo la guerra dello Yom Kippur, nell’ottobre 1973, la maggior parte di questi paesi ruppe i rapporti diplomatici, in conformità con la risoluzione dell’Oua (Organizzazione dell’unità africana), sostenuta dall’Egitto, che chiedeva la formale interruzione delle relazioni con lo stato ebraico. Una decisione che a livello diplomatico costituì un duro colpo per Israele.
Poi, quando dieci anni fa è tornato a ricoprire la carica di primo ministro, Benjamin Netanyahu ha dimostrato particolare interesse nel voler ricucire i rapporti con il continente, intraprendendo una strategia di riavvicinamento. Una strategia che all’epoca molti ritenevano destinata al fallimento, in conseguenza del fatto che numerosi paesi africani sono a maggioranza musulmana. Questo avrebbe reso impossibile qualsiasi tentativo di riavvicinamento, se prima non si fossero registrati significativi progressi nei negoziati tra Israele e i palestinesi.
Ciononostante, Netanyahu è riuscito ad avviare un processo di distensione con l’Africa, anche in paesi come il Ciad, in cui l’islam è dominante. Un processo con cui tenta di legittimare definitivamente la presenza di Israele in Africa, mentre sullo sfondo rimane la controversa apertura dell’ambasciata americana a Gerusalemme.
Apertura che ha creato un certo imbarazzo diplomatico nei molti paesi che sostengono la linea dell’Unione africana, favorevole a una soluzione della questione israelo-palestinese. Una soluzione sempre più lontana dal concretizzarsi, che i gruppi estremisti africani fedeli ad al-Qaeda hanno cominciato a rivendicare a suon di massacri.
Articolo pubblicato su Nigrizia.it