L’Africa orientale assediata dalla siccità soffre la fame, nonostante gli ingenti aiuti alimentari forniti dai donor. Una situazione anomala che, secondo gli esperti, più che dalla mancanza di cibo è prodotta da interventi insufficienti dei governi e dal persistere di barriere commerciali, che limitano la circolazione dei beni alimentari. E l’emergenza interessa tutto il continente, dove la sotto-nutrizione colpisce il 23% della popolazione.
Dopo quello lanciato nei giorni scorsi dalla Famine early warning systems network (Fewsn), la rete statunitense per rilevare precocemente il pericolo di carestie, anche il Gruppo di lavoro sulla sicurezza alimentare e la nutrizione (Fnswg), con base nella capitale del Kenya, Nairobi, ha diffuso un allarme rosso sul peggioramento dell’insicurezza alimentare in Africa orientale.
La piattaforma consultiva regionale ha avvertito che se nel mese in corso i previsti deficit di precipitazioni atmosferiche saranno confermati le aree semi-aride del Kenya settentrionale, la Rift Valley e le regioni del Tigray in Etiopia, gran parte del territorio del Sud Sudan, la poverissima regione della Karamoja nell’estremo nord dell’Uganda e la Somalia centrale e nord-orientale non riusciranno a scongiurare una nuova crisi alimentare.
Per capire come ciò sia possibile, è importante ricordare che secondo gli esperti questo stato di perenne emergenza è originato dal degrado ambientale e dalla prolungata siccità aggravata dal fenomeno atmosferico conosciuto come El Niño, che si verifica in genere nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio, con una frequenza statisticamente variabile fra i due e i sette anni. El Niño è tornato a far sentire il suo influsso alla fine del 2018, ma i meteorologi ritengono che i suoi effetti nefasti favoriranno anche nel corrente mese di aprile temperature anomale e il perdurare della siccità.
L’appello della Fnswg costituisce l’ennesima riprova del fatto che le popolazioni dell’Africa orientale sono molto vulnerabili a situazioni di elevato rischio di sotto nutrizione, nonostante siano supportate da ingenti aiuti alimentari. Su questo inquietante aspetto, gli esperti rilevano che il problema principale non è rappresentato dalla mancanza di cibo, ma dagli interventi dei governi ritenuti insufficienti.
Per esempio, nel caso del Kenya, la responsabilità del significativo peggioramento in termini di sicurezza alimentare sarebbe in gran parte riconducibile all’operato del governo, che ha fallito sia a livello nazionale che a livello locale nel coordinamento degli sforzi dei vari attori impegnati nel fronteggiare l’emergenza.
Nella regione di Karamoja, in Uganda, il Programma alimentare mondiale (Wfp) ha fornito mais fortificato con vitamine e minerali alle famiglie con bambini piccoli, alle donne incinte e a quelle che allattano al seno, per prevenire la malnutrizione. Ma l’organismo delle Nazioni Unite ha dovuto sospendere la distribuzione, dopo che almeno 250 persone si sono ammalate e tre sono morte presumibilmente avvelenate dal mais importato dall’Europa.
Beatrice Byarugaba, direttrice esecutiva dell’Uganda Agricultural Extension Services, ha affermato che la maggior parte del paese ha un eccesso di cibo grazie all’eccezionale raccolto della scorsa stagione, che non può essere venduto a causa di alcune barriere commerciali e doganali ancora presenti in Africa orientale. Byarugabaha spiegato che la parziale chiusura del confine del Rwanda con l’Uganda alla fine dello scorso febbraio, il ridotto acquisto di mais e fagioli dall’Uganda e l’aumento delle esportazioni di riso dalla Tanzania verso il Kenya e il Rwanda hanno causato una sovrapproduzione alimentare e una conseguente riduzione dei prezzi, che ha colpitole tasche degli agricoltori.
Mentre gli esperti di Oxfam, la confederazione internazionale di organizzazioni non profit, affermano che l’Africa orientale non può essere descritta come vittima della carestia, che è caratterizzata da una situazione in cui una famiglia su cinque soffre di un’estrema mancanza di cibo e dove la fame, la miseria e la morte sono evidenti. Ma il rischio rimane latente, come denuncia Mahari Taddeke Maru, un esperto dell’ Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad), che ha avvertito che senza una gestione proattiva dell’attuale situazione nella regione, la crisi alimentare potrebbe degenerare in una carestia.
Mahari ha affermato che l’apertura dei confini aiuterebbe anche i pastori a gestire meglio le sfide legate al clima, aggiungendo che la pastorizia è stata usata da tempo immemorabile per combattere la siccità: gli allevatori si spostano in luoghi con acqua e pascoli, consentendo alle famiglie di mantenere il loro bestiame sano che possono vendere per poi comprare cibo.
La Panoramica regionale dell’Africa sulla sicurezza alimentare e la nutrizione, pubblicatalo scorso febbraio, evidenzia anche l’importante ruolo svolto dalle rimesse dei migranti nella riduzione della povertà e della fame. Secondo quanto riportato nel rapporto congiunto dell’Ufficio regionale per l’Africa della Fao e della Commissione economica per l’Africa delle Nazioni Unite (Uneca), le rimesse stimolano gli investimenti produttivi e rappresentano un’importante fonte di sostentamento per le comunità rurali, che dipendono in gran parte dall’agricoltura.
Il report Fao-Uneca rileva inoltre che la situazione è critica in tutto il continente, dove la tendenza al rialzo del livello di sotto nutrizione sembra accelerare, con il 23% della popolazione interessata dall’emergenza. L’Africa attualmente ha 257 milioni di persone denutrite, con un aumento del 15,2% rispetto ai 223 milioni del 2015. La maggior parte di queste persone vive nell’Africa orientale e occidentale. Gli autori dello studio sperano che l’implementazione del mercato unico africano porterà ad un miglioramento della sicurezza alimentare nel continente, poiché dovrebbe produrre un sensibile aumento delle esportazioni agricole intra-africane.
Ma per ora è certo c’è che con la siccità che distrugge i raccolti di ampie zone del continente, l’Africa non è sulla buona strada per raggiungere il secondo degli l’obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda Globale 2030, quello che prevede diporre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile.