Il 28 settembre di dieci anni fa, mentre la Guinea Conakry celebrava il cinquantunesimo anniversario dell’indipendenza, i béret rouge della guardia presidenziale uccisero 157 persone che si erano radunate nello stadio della capitale per protestare contro la candidatura del capitano Dadis Camara alle elezioni presidenziali. Trascorsa una decade ancora si attende l’apertura di un processo, che possa assicurare alla giustizia i responsabili del massacro.
I manifestanti furono bloccati dalle forze dell’ordine e per ritorsione incendiarono un commissariato nel quartiere di Bellevue e un altro davanti allo stadio. Poi, nel corso della mattinata, la folla iniziò a entrare allo stadio, dove nonostante tutto regnava un’atmosfera di festa che venne interrotta a mezzogiorno, quando vennero lanciati i primi lacrimogeni da dietro il palco.
Poco dopo, i cosiddetti béret rouge, i militari della guardia presidenziale, fecero irruzione all’interno dell’impianto picchiando selvaggiamente gli oppositori, sparando ad altezza d’uomo e accoltellando con le baionette dei fucili centinaia di dimostranti. Nella totale confusione furono anche stuprate un centinaio di donne, mentre la gente si calpestava a vicenda e qualcuno, cercando di scappare, rimase impigliato nei cavi dell’elettricità morendo folgorato.
I cadaveri furono poi ammassati su dei camion militari per essere trasportati nelle caserme o negli obitori degli ospedali mentre, a partire dal tardo pomeriggio, i soldati dispersero con inaudita violenza la massa dei parenti delle vittime che volevano entrare nello stadio nel tentativo di trovare tracce dei loro cari scomparsi.
Secondo un’indagine condotta dall’Onu, quel giorno furono uccise 157 persone e altre 1.200 rimasero ferite. Per ricostruire i fatti la corte di Ouagadougou, in Burkina Faso, dove Dadis Camara è fuggito in esilio, ha ascoltato circa quattrocento testimoni vittime delle violenze di quel giorno allo stadio di Conakry.
Tuttavia, a dieci anni dalla mattanza compiuta dai militari della Guardia presidenziale, superstiti e familiari delle vittime aspettano ancora giustizia. Il capitano Camara non è mai stato processato e finora l’Unione europea e l’Unione africana gli hanno soltanto imposto un divieto di viaggio e sequestrato i suoi beni e quelli di 41 suoi collaboratori. A denunciarlo, in occasione dell’anniversario, l’Associazione dei genitori e degli amici delle vittime del massacro del 28 settembre (Avipa), due ong locali che si battono per la tutela dei diritti umani; ai quali si sono uniti la Federazione internazionale dei diritti umani (Fidh), Amnesty International e Human Rights Watch.
Secondo tutte queste organizzazioni, le forze di sicurezza si sono impegnate in un insabbiamento organizzato per nascondere l’entità del massacro rimuovendo i corpi dagli obitori e seppellendoli in fosse comuni. E a oggi, molti dei cadaveri non sono ancora stati identificati. L’indagine interna, iniziata nel febbraio 2010 e conclusa alla fine del 2017, è proseguita lentamente tra ostacoli politici e problemi finanziari.
Ma in un paese in cui prevale l’impunità quando le forze di sicurezza sono implicate in crimini, la chiusura delle indagini aveva inviato un segnale forte e suscitato speranze per l’apertura di un processo che potrebbe rendere giustizia alle vittime. Nell’aprile 2018, l’ex ministro della Giustizia Cheick Sako ha designato un comitato direttivo incaricato di istituire il processo, ma finora il comitato ha solamente stabilito che la Corte d’appello di Conakry è il luogo dove si celebreranno le udienze.
A quasi due anni dalla chiusura delle indagini, non è stata ancora fissata una data per l’inizio del processo e il comitato direttivo che doveva riunirsi una volta alla settimana, si è incontrato sporadicamente. Senza contare, che lo scorso luglio la Corte suprema della Guinea ha respinto tutti i ricorsi relativi alla fine dell’indagine e i giudici che dovrebbero presiedere il processo devono ancora essere nominati.
Nel frattempo, in attesa di progressi sugli sviluppi del caso un buon numero dei sopravvissuti all’eccidio sono morti. Per continuare a mantenere l’attenzione sull’accaduto, Human Rights Watch ha pubblicato un video nel quale alcune delle vittime chiedono che dopo dieci anni sia fatta giustizia. E nei loro occhi c’è ancora il terrore di quel maledetto giorno.
Articolo pubblicato su Nigrizia.it