Oggi in Burkina Faso si tengono le elezioni presidenziali e legislative, tuttavia la questione chiave non è racchiusa su chi vincerà, ma piuttosto come il paese saprà gestire una serie di forze che minacciano di erodere le sue istituzioni democratiche. Le elezioni odierne sono le seconde dal rovesciamento del presidente Blaise Compaoré, deposto dopo ventisette anni di potere a seguito di una rivolta popolare scoppiata il 31 ottobre 2014.
Le prime elezioni, tenute alla fine del 2015, sono state accompagnate da grandi speranze legate alla vittoria di Roch Marc Christian Kaboré. Con l’insediamento del nuovo presidente si accesero speranze che il paese stava entrando in un inedito capitolo nel quale si sarebbero realizzati la riconciliazione nazionale, la fine della corruzione, l’inizio di un maggiore sviluppo sociale ed economico e la tanto agognata soluzione dei misteri che ancora avvolgono la morte dell’iconico ex presidente Thomas Sankara nel 1987.
Appena due mesi dopo la vittoria di Kaboré, però, gli attacchi terroristici nella capitale Ouagadougou annunciarono l’arrivo di una nuova sinistra minaccia, che portava il sigillo di al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi). All’epoca si riteneva che l’obiettivo dei terroristi fosse quello di colpire gli europei, visto che i bersagli degli attentati furono un hotel e un caffè frequentati principalmente da occidentali. Una rappresaglia motivata dalla presenza dell’esercito francese in Mali, impegnato in operazioni belliche contro i jihadisti dal 2013.
Alcuni commentatori hanno avanzato il sospetto che Compaoré avesse contribuito a scatenare gli attacchi, sulla base del fatto che durante il suo lungo periodo di governo l’ex presidente mantenne stretti contatti con alcuni leader jihadisti e negoziò anche il rilascio di diversi ostaggi occidentali fatti prigionieri nel Sahel, avvalendosi dei buoni uffici interposti dal suo consigliere Moustapha Ould Limam Chafi. È stata anche avanzata l’ipotesi che ex elementi del disciolto Reggimento di sicurezza presidenziale (Rsp), comandato dal generale putschista Gilbert Dienderé, fossero collusi con gli estremisti islamici.
Dal febbraio 2016, la violenza jihadista è cresciuta in ferocia e frequenza, soprattutto dopo l’avvento, all’inizio dei marzo 2017, del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim), che ha riunito i gruppi fedeli alla rete di al-Qaeda attivi nella regione del Sahel. Adesso il Burkina Faso registra più attacchi terroristici del Mali, tra i quali nel marzo 2018 c’è stato l’assalto all’ambasciata francese e allo Stato maggiore dell’esercito burkinabè, nonché centinaia di massacri nelle regioni settentrionali e orientali.
Un’insorgenza che rientra nei conflitti jihadisti regionali, ma che annota anche una componente casalinga che si traduce nel movimento locale Ansarul Islam (Difensori dell’Islam), il quale si differenzia dai militanti islamisti che si riversano oltre il confine dal Mali. Inizialmente guidato dal defunto predicatore fulani, Malam Ibrahim Dicko, e stanziato nella provincia settentrionale di Soum, il gruppo è sorto come movimento salafita e ha guadagnato seguaci facendo leva sull’insoddisfazione dei giovani disoccupati, emarginati e frustrati. Nel tempo, il movimento ha assunto una deriva violenta, macchiandosi di sanguinosi attentati per imporre il suo marchio identitario di Islam alla gente del posto.
I vari gruppi jihadisti che adesso operano in Burkina Faso hanno dato vita a una vera e propria insurrezione, che li ha portati alla conquista di considerevoli fasce di territorio in cui hanno affermato il loro controllo politico sui capi locali. Per finanziarsi questi gruppi sono dediti al contrabbando e al brigantaggio, oltre allo sfruttamento delle risorse minerarie, come i giacimenti auriferi dai quali ricavano ingenti fondi per reclutare nuovi combattenti e acquistare armi, esplosivi e detonatori per compiere gli attacchi necessari ad ampliare il loro potere.
La violenza militante islamista nel paese è salita alle stelle, da soli quattro attacchi nel 2015 a 516 nei dodici mesi da metà 2019 a metà 2020, contro 361 in Mali e 118 in Niger, registrati nello stesso periodo. Quasi un milione di burkinabé sono stati costretti ad abbandonare le loro abitazione causando quella che le Nazioni Unite hanno definito «la crisi degli sfollati in più rapida crescita al mondo». Mentre quasi tre milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria, in un paese di appena venti milioni di abitanti.
Più di 2.500 scuole sono state chiuse, centinaia di bambini e insegnanti sono stati uccisi e circa 350mila studenti sono stati costretti ad abbandonare la scuola. Tutto ciò ha causato un impatto devastante sull’istruzione denunciato da Human Rights Watch in un recente report, che documenta decine di attacchi a scuole e operatori scolastici da parte di gruppi islamici in 6 delle 13 regioni del paese tra il 2017 e il 2020.
A tutto questo si aggiunge l’impatto del cambiamento climatico, la diffusa carenza di cibo e acqua e l’epidemia di Covid-19, che ha inciso in negativo sulla capacità delle persone di guadagnare denaro per far fronte alle necessità quotidiane. Mentre il Programma alimentare mondiale e la Fao hanno rilevato che rispetto al 2019 in Burkina Faso il numero di persone sottoalimentate è quasi triplicato.
Le notizie che giungono dal paese indicano che intere zone del Burkina Faso settentrionale sono troppo insicure per tenere le elezioni. Alcuni stimano che non sarà possibile votare nel 17% dei comuni elettorali, il che significa che circa 400mila persone nel nord rurale saranno private del diritto di voto.
Tutto questo, insieme alla mancanza di sviluppo, alle forme di esclusione etnica e all’inazione del governo contro i militanti islamisti, potrebbe allontanare ulteriormente la popolazione locale e spingerla ad accettare i movimenti jihadisti come governanti de facto.
Di certo, chiunque uscirà vincitore dal responso delle urne dovrà affrontare tutte queste criticità e se nei prossimi cinque anni la pace e la sicurezza non saranno ripristinate, lo svolgimento delle elezioni potrebbe essere l’ultima delle preoccupazioni dei burkinabè.