Nell’ultima decade l’Africa ha sperimentato un costante aumento della violenza islamista, con un nuovo record registrato nel 2021 dovuto all’incremento del 70% degli attacchi portati a termine dai gruppi jihadisti attivi nella cintura del Sahel, nonostante la corposa presenza militare straniera dispiegata. Negli ultimi anni, tale escalation è stata caratterizzata da una crescente ondata di violenza contro la popolazione civile.
Un’ondata che lo scorso anno ha raggiunto il 25% degli attacchi complessivi, ben l’11% in più rispetto al 2016. Per esaminare la preoccupante evoluzione del fenomeno, possiamo avvalerci di una nuova analisi, realizzata dal Centro di studi strategici sull’Africa (Acss) con base a Washington, che spiega l’aumento degli attacchi contro i civili cominciando con focalizzare l’attenzione sulla struttura dell’ambiente in cui operano gli estremisti.
Una struttura che modella le strategie e le scelte finali di ciascun gruppo. Ad esempio, i gruppi che esercitano un grado più elevato di controllo su un determinato territorio tendono anche a una maggiore moderazione nell’uso della violenza contro i civili.
L’aumento della violenza jihadista contro i civili è anche una conseguenza dell’incapacità della leadership di un gruppo militante di controllare il comportamento dei propri combattenti, oltre all’agire in contesti caratterizzati da un’intensa competizione con altri attori e da una forte ostilità all’esterno e un accentuato antagonismo all’interno del gruppo.
Poste tali premesse, l’analisi offre approfondimenti sulle tendenze della violenza nei confronti dei civili nel Sahel, in Somalia e in Mozambico settentrionale. Nel teatro del Sahel si registra il più alto livello di violenza islamista nei confronti dei civili in tutto il continente, come evidenzia il dato relativo al 2021, corrispondente al 42% degli attacchi nei confronti dei civili (833 su 2.005) contro il 20% del 2017 (38 su 187).
Riguardo alla Somalia, nel corso della sua insurrezione, al-Shabaab è stato ampiamente coinvolto in imboscate, attacchi sofisticati e duri scontri con le forze di sicurezza statali e gli effettivi dell’Amisom, la missione di peacekeeping dell’Unione africana. Il gruppo estremista somalo impone anche dure punizioni ai civili che violano la shari’a.
L’uso tattico della violenza contro i civili da parte di al-Shabaab è diminuito nel tempo, adattandosi a numerose dinamiche legate alle strategie di sicurezza del governo somalo e dei suoi partner. Gli estremisti somali hanno intensificato la violenza contro i civili nel triennio 2017-2019, nel corso del quale sono stati perpetrati quasi 900 attacchi contro civili in Somalia, provocando quasi 2mila vittime.
Negli ultimi due anni si è assistito a un aumento degli attacchi contro le forze di sicurezza, ma la violenza contro la popolazione rimane persistente, rappresentando circa il 13% dell’attività del gruppo, che intende isolare il governo di Mogadiscio, limitando il sostegno delle comunità locali.
Nel nord del Mozambico, l’intensificarsi della violenza di matrice jihadista nella provincia settentrionale di Cabo Delgado ha avuto un impatto catastrofico sui civili. Dall’ottobre 2017, quando Al Sunnah wa Jjmaah (Aswj) ha commesso il suo primo atto di violenza a Mocimboa da Praia, circa 1.400 civili sono stati uccisi e quasi 900mila – circa un terzo della popolazione totale di Cabo Delgado – sono stati costretti ad abbandonare le proprie abitazioni.
Le forze armate mozambicane si sono dimostrate impreparate per contrastare un’insurrezione islamista e hanno risposto con estrema ferocia ai brutali atti di violenza dell’Aswj. Tale approccio ha ulteriormente aumentato il reclutamento di nuovi militanti e le violente rappresaglie contro i civili. Quando i militari non sono riusciti ad arginare l’avanzata dell’Aswj nel territorio, il governo ha assunto mercenari russi, zimbabwani e sudafricani, oltre a incoraggiare i civili a formare milizie di autodifesa.
Amnesty International ha accusato le forze di sicurezza locali e i mercenari sudafricani del Dyck Advisory Group di aver commesso crimini di guerra, come il lancio dagli elicotteri di granate sui civili. Il governo ha quindi consentito a Cabo Delgado il dispiegamento di truppe ruandesi e della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (Sadc), comprese le forze speciali sudafricane. Nel 2021, il livello totale di attacchi dell’Aswj è così sceso del 25%, di cui quelli contro i civili rappresentano poco più di un terzo del totale. Ma il problema non è stato certo risolto.
Il decremento degli attacchi rivela la potenziale differenza qualitativa di una risposta securitaria più professionale e conferma che un ruolo importante nell’aumento della violenza degli estremisti islamisti contro i civili è determinato anche dalle misure di sicurezza, messe in atto dai rispettivi governi.
Partendo dal fatto che una pressione prolungata sugli estremisti può degradare la loro struttura organizzativa e di conseguenza ridurne la capacità di attaccare la popolazione. Tuttavia, quando le azioni del governo sono viste come indiscriminate punizioni collettive condotte principalmente sulla base della composizione etnica di una comunità, possono incentivare il reclutamento di nuovi militanti, con conseguente aumento della violenza degli estremisti contro i civili.
La pressione delle forze di sicurezza può anche innescare rappresaglie da parte di gruppi islamisti con l’obiettivo di far desistere le comunità locali a cooperare con il governo. Questo fermo restando che ogni contesto è diverso e le richieste di una correzione delle misure di contrasto all’insorgenza devono essere in sintonia con le specificità e le esigenze locali. E che, accertato l’uso strumentale della violenza contro i civili da parte dei gruppi islamisti, si rende necessaria una rivalutazione delle risposte.
In primis, sarebbe importante dare la priorità agli sforzi per impedire ai gruppi estremisti di sfruttare le tensioni comunitarie esistenti. La sicurezza nel Sahel e in Mozambico potrebbe trarre vantaggio da maggiori sforzi dei governi e della società civile per allentare le tensioni etniche, facilitando i dialoghi intracomunitari in corso, rafforzando i meccanismi di risoluzione delle controversie e stabilendo regole più trasparenti ed eque sull’uso della terra e sui diritti di proprietà.
Articolo pubblicato su Nigrizia.it