Come ha fatto al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqim), basata originariamente in Algeria, a espandersi nel Sahel e minacciare oltre dieci stati dell’Africa occidentale, compresi quelli rivieraschi? Un quesito da tempo oggetto di dibattiti e analisi da parte degli studiosi del settore, che trova una esaustiva e dettagliata risposta nel nuovo report pubblicato dal Combating Terrorism Center (Ctc) dell’Accademia militare federale di West Point.
La ricerca dal titolo AQIM’s Imperial Playbook: Understanding al-Qa’ida in the Islamic Maghreb’s Expansion into West Africa è stata realizzata da Caleb Weiss, analista presso la Bridgeway Foundation e tra i più autorevoli esperti del jihadismo in Africa, che per saggiare l’argomento ha passato in rassegna i vari metodi utilizzati dalla branca maghrebina di al-Qaeda per espandere il suo raggio d’azione a quasi 1.300 miglia dal suo luogo di origine.
Un’espansione analizzata sulla base della combinazione tra propaganda jihadista e ricerca storica, che arriva alla conclusione che negli ultimi 30 anni, al-Qaeda e le sue filiali nell’Africa nord-occidentale hanno seguito un determinato modello chiaramente orientato a espandere le loro aree di influenza verso sud.
Il rapporto, frutto di sette anni di ricerche, illustra cinque strategie di propagazione: in primis, quella di stringere saldi legami per creare gruppi militanti pronti a operare nel mezzo di un conflitto; poi di integrarsi nelle comunità in cui vivono i militanti; quindi sfruttare le recriminazioni di quelle comunità per ottenere consenso; cavalcare il dissenso interno ed esterno; infine, una volta che la base si è consolidata, guardare verso nuovi teatri di azione.
Al-Qaeda ha successivamente messo in pratica questo playbook per espandersi dalla sua originaria base algerina in cinque distinti periodi storici: 1992-1998; 1998-2006; 2006-2012; 2013-2017; 2017-presente. L’analisi sottolinea che in ciascuno dei cinque periodi di tempo, Aqim ha variato costantemente la sua strategia, a seconda delle nuove esigenze. Per riassumere il tutto, Weiss ha diviso lo studio in cinque capitoli basati sui suddetti periodi storici per capire come e perché Aqim ha continuato la sua espansione verso la fascia saheliana.
A partire dal suo primo periodo di tempo (1992-1998), al-Qaeda si è spostata per la prima volta nel Sahel intorno al 1993 e 1994, mentre sosteneva il Gruppo islamico armato (Gia) nella guerra civile in Algeria. Il secondo periodo di espansione (1998-2006) è stato segnato da intense rivalità ideologiche, che nel 1998 hanno decretato una scissione all’interno del Gia, che ha portato alla creazione del Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento (Gspc) sotto l’ombrello di al-Qaeda.
Allo stesso modo del Gia, il Gspc considerava il Sahel una valida piattaforma per sostenere la sua missione incentrata sull’Algeria, ma iniziò anche ad arruolare tra le sue fila molte reclute saheliane, trasformandosi da organizzazione locale a regionale. Il processo di sahelizzazione del gruppo algerino comincia all’inizio degli anni 2000 con l’ingresso formale nella galassia qaeidsta, che nel gennaio 2007 culmina con la nascita di Aqim.
La leadership del Gspc reputò il Sahel come uno spazio per portare a termine attacchi, a partire da quelli in Mauritania nel giugno 2005, quando provò a stabilire un ramo mauritano, per poi spostarsi in maniera sempre più definitiva oltre il confine algerino verso sud.
Un’ulteriore integrazione sociale all’interno del Sahel significava anche un maggiore reclutamento a livello locale, con relative brigate istituite tra la fine degli anni 2000 e primi anni dieci. Poi con le ribellioni tuareg nel Sahara della metà degli anni 2000, Aqim ha colto l’occasione per integrarsi ulteriormente nel tessuto sociale del nord del Mali.
Quando la ribellione tuareg, capeggiata dal Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mnla), nell’aprile 2012 ha catapultato il paese in un conflitto, Aqim è intervenuta a fianco dell’Mnla, che due mesi dopo aveva conquistato metà del Mali.
La branca di al-Qaeda nel Maghreb riuscì ad imporre la propria connotazione integralista religiosa all’insurrezione armata con la proclamazione dello Stato islamico dell’Azawad, estromettendo i secessionisti dell’Mnla e applicando la sharia su tutto il territorio conquistato.
Tuttavia, questo periodo ha registrato l’emergere di due gruppi scissionisti: la brigata al Mulathameen e il Movimento per l’Unità e la Jihad in Africa occidentale (Mujao), che hanno comunque continuato a cooperare con l’organizzazione madre.
Il quarto periodo di espansione di Aqim nel Sahel è stato caratterizzato da un periodo di significativa ricostruzione e ricostituzione delle sue forze attraverso la fusione nel 2013 di al-Mulathameen e Mujao nel nuovo gruppo al-Murabitun. Mentre tra il 2014 e il 2015, Ansar Dine, una delle organizzazioni fedeli ad al-Qaeda attiva nel nord del Mali, ha creato diversi sottogruppi nel Mali centrale e meridionale. Nel 2016, i membri di al-Qaeda in Mali hanno aiutato gli islamisti burkinabé a formare la prima organizzazione jihadista del Burkina Faso, Ansaroul Islam.
L’ultimo periodo vede la formazione, all’inizio del marzo 2017, della Jama’ah Nusrah al-Islam wal-Muslimin (Jnim, Gruppo per il sostegno all’Islam e ai musulmani), che ha riunito in un’unica sigla i principali gruppi legati ad al Qaeda attivi in Mali e nel del Sahel: al-Murabitun, i Mujaheddin dell’Emirato del Sahara, Ansar Dine e il Fronte di liberazione del Macina.
Da allora il Jnim si è ampliato ulteriormente nel Sahel, soprattutto radicandosi nelle comunità locali per creare sostegno. Inoltre, la sua attività di insorgenza ha continuato a diffondersi anche al di fuori della regione fino ad arrivare a minacciare diversi stati rivieraschi dell’Africa occidentale come la Costa d’Avorio, il Ghana, il Togo e il Benin. Tutto questo ha reso il Jnim come modello di successo e di solidità per tutte le altre filiali di al-Qaeda sparse nel mondo.
Articolo pubblicato su Nigrizia.it