Est Congo: dopo lo stato d’assedio arriva la forza regionale

Image Border Editor: https://www.tuxpi.com/photo-effects/bordersLo scorso 8 aprile la Repubblica democratica del Congo (RdC) si è formalmente unita alla Comunità economica dell’Africa orientale (Eac), diventando il settimo stato partner dell’organismo che già riuniva Burundi, Kenya, Ruanda, Sud Sudan, Tanzania e Uganda. Con la nuova entrata, l’Eac ha raddoppiato la sua estensione territoriale e ha accolto 90 milioni di congolesi all’interno del blocco regionale, che già contava circa 200 milioni di abitanti. Un importante incremento di popolazione che, secondo le previsioni degli economisti, consentirà al mercato unico dell’Africa orientale di ampliare le prospettive di crescita delle esportazioni e degli scambi internazionali. L’adesione della RdC alla comunità economica africana ha invece già prodotto i suoi effetti nell’ambito della sicurezza.

Lo scorso 21 aprile, i sette membri dell’Eac hanno deciso di istituire una forza militare regionale per affrontare la pervasiva e costante minaccia dei gruppi armati, che da decenni destabilizzano la parte orientale della RdC.

Nonostante i miliardi di dollari spesi dalle Nazioni unite per dispiegare, dal 1999, sul territorio la missione di stabilizzazione Monusco, più di 120 gruppi ribelli continuano a operare nelle foreste orientali, lungo il confine con Uganda e Ruanda, quasi due decenni dopo la fine ufficiale di quella che l’allora segretario di stato americano Madaleine Albright definì la prima guerra mondiale africana (1998-2003, vi parteciparono dalla parte del governo di Kinshasa Zimbabwe, Angola, Ciad, Sudan Namibia e dall’altra Burundi e Ruanda) nel vasto paese dell’Africa centrale.

Tra i gruppi attivi nella regione orientale del Congo ci sono anche quelli transfrontalieri, come le Forze democratiche alleate (Adf) dell’Uganda, che operano nelle province del Nord Kivu e dell’Ituri. Secondo le Nazioni Unite, nel solo 2021 l’Adf ha ucciso oltre 1.200 persone, quasi il 50% in più rispetto all’anno precedente. Due altri temibili gruppi transfrontalieri sono le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fldr), attivo nel Kivu settentrionale, e la milizia armata Red-Tabara, supportata dal Burundi e operativa nel Kivu meridionale.

I leader dell’Eac hanno convenuto che tutti i gruppi armati operativi nell’est della RdC devono «deporre le armi e partecipare incondizionatamente al processo politico per risolvere le loro recriminazioni. In caso contrario, saranno considerati forze nemiche e contrastati militarmente dalla forza regionale».

Circa 70 gruppi armati hanno concordato un cessate il fuoco nella provincia del Sud Kivu nel luglio 2021, ma la violenza nella regione rimane oggetto di contesa tra le nazioni dell’Eac. Negli ultimi anni, Burundi, RdC, Ruanda e Uganda si sono accusati a vicenda di sostenere le forze ribelli che operano nel Congo orientale. Il Kenya e l’Uganda hanno già schierato truppe e, nella cornice del nuovo accordo Eac, anche i soldati rwandesi faranno parte della nuova forza regionale.

Non sono stati resi noti quali gruppi armati attivi nelle provincie orientali del Congo, sono stati invitati dall’Eac lo scorso 22 aprile a Nairobi per avviare i colloqui di pace. Tuttavia, alcuni rapporti locali indicano tra questi il gruppo armato politico-religioso Codeco (Cooperativa per lo sviluppo del Congo), che rivendica la difesa degli interessi della comunità lendu.

Altro movimento ribelle coinvolto nei negoziati con l’organismo regionale sarebbe l’M23, chiamato anche Esercito rivoluzionario congolese, sconfitto nel 2013 dalle Forze armate congolesi (Fardc) ma riapparso alla fine dello scorso anno, accusando le autorità di Kinshasa di non aver rispettato gli impegni per smobilitare i suoi combattenti.

Ci sarebbero poi i ribelli burundesi del Forebu (Forze repubblicane del Burundi), sostenuti dal Ruanda, le milizie Mai-Mai, le cui origini sono legate alla ribellione armata contro il governo centrale negli anni Sessanta, e il Cndp (Congresso nazionale per la difesa del popolo) istituito nel 2008 dall’ex generale tutsi Laurent Nkunda nella regione del Kivu. Sarebbero stati invece esclusi dalle trattative le Adf, considerate un gruppo terroristico dalla RdC e dall’Uganda per i suoi legami con lo Stato islamico.

 «Senza deporre le armi e forgiare un patto nazionale indissolubile per mettere in sicurezza la RdC, i frutti della prosperità, che appartengono anche a voi, derivanti dalle ricchezze di cui è ricco il paese, rimarranno inaccessibili», ha dichiarato il presidente kenyano, Uhuru Kenyatta, che ha guidato l’incontro e parlato ai partecipanti in qualità di presidente di turno dell’Eac.

Sebbene il negoziato abbia cominciato a favorire il dialogo tra le parti, alcuni osservatori come l’analista politico del Nord Kivu, Akilimali Chomachoma, restano scettici su un esito positivo delle trattative. Mentre altri, come Angela Muvumba Sellström, ricercatrice presso il Nordic Africa Institute, ritengono che i colloqui di pace siano un passo nella giusta direzione e che i leader ribelli dovrebbero aderire al fronte unito per le trattative proposto dall’Eac.

Di certo, i recenti tentativi di fermare la violenza militarmente si sono rivelati infruttuosi e in alcuni casi hanno prodotto dure rappresaglie da parte delle milizie ribelli. E anche riunendo in un’unica forza tutti gli eserciti dell’Eac, sarà difficile sconfiggere militarmente gli oltre 120 gruppi armati sparsi sulla vasta regione orientale della RdC. Per questo, la strada del dialogo sembra essere la più proficua.

Articolo pubblicato su Nigrizia.it

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