Squilli di rivolta nella crisi nel Delta del Niger

Da alcuni mesi, il governo del presidente della Nigeria Buhari non si trova solo a dover affrontare l’emergenza nel nord-est rappresentata dalla minaccia degli estremisti islamici di Boko Haram, ma è costretto anche a dover fare i conti con la recrudescenza della ribellione nella regione sud-orientale del Delta del Niger. Un’area che si estende per 70mila chilometri quadrati, include nove stati federali e copre oltre l’80% della produzione nazionale di idrocarburi, da cui deriva circa il 70% delle entrate del bilancio statale.

Tuttavia, i dati pubblicati il mese scorso dall’Organizzazione dei paesi esportatori di greggio (Opec), determinano che la Nigeria ha perso il suo primato di maggior produttore di petrolio africano a beneficio dell’Angola. Il sorpasso da parte di Luanda è stato prodotto dal sensibile calo della produzione di greggio nigeriana. Un calo dovuto in gran parte ai ripetuti attacchi alle installazioni petrolifere, che nel mese di marzo è scesa a 1,69 milioni di barili giornalieri.

Una notevole flessione che ha portato l’export del petrolio ai minimi storici degli ultimi 22 anni, come confermano i dati dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), riscontrando che un volume analogo nel Delta non si registrava da giugno 2007; mentre per rilevare un valore ancora più basso bisogna risalire al 1994, quando la produzione scese a 1,46 milioni di barili.

In un paese dove i proventi dell’esportazione petrolifera ammontano a circa il 70% delle entrate del bilancio statale, un rallentamento tanto accentuato della produzione rappresenta un colpo durissimo per le finanze nigeriane. Peraltro, già messe a dura prova dal vistoso calo del prezzo del greggio che attualmente oscilla intorno ai 45 dollari al barile, ben lontano rispetto al picco di 114 registrato nel giugno 2014.

Dietro alla nuova ondata di attacchi alle infrastrutture petrolifere c’è la firma dei militanti del “Niger Delta Avengers” (Vendicatori del Delta del Nige)r, un gruppo di recente formazione, che punta a destabilizzare l’area strategica per l’export petrolifero nazionale con attentati rivolti contro le piattaforme delle multinazionali del settore. Secondo il quotidiano nigeriano “The Herald”, i ribelli avrebbero stilato una lista di dieci richieste, indirizzate al presidente Buhari. Alcune fonti non confermate hanno rivelato che i militanti sarebbero pronti a far crollare l’economia del gigante africano, qualora le loro istanze non venissero accolte.

Lo scorso fine settimana, una serie di assalti alle piattaforme petrolifere della Chevron avevano costretto la major americana alla chiusura del suo terminale di Okan, dal quale transitano 35mila barili al giorno. Mentre le minacce di possibili attacchi hanno causato l’evacuazione dei lavoratori dell’impianto di Bonga, di proprietà della Royal Dutch Shell, che lo scorso febbraio aveva chiuso anche il terminale di Forcados, con una capacità di 250mila barili al giorno.

L’interruzione delle attività nella piattaforma era stata decisa in seguito all’attacco operato da sommozzatori appartenenti alla fazione dell’ex leader dei militanti del Delta del Niger, Government Ekpemupolo, noto come “Tompolo”, nei cui confronti lo scorso gennaio era stato spiccato un mandato di arresto. Anche nelle ultime ore si sono registrate nuove violenze, come testimonia quanto accaduto lunedì scorso, nei pressi della comunità di Okobie, vicino alla città di Yenagoa (capitale dello stato deltizio di Bayelsa), dove un gruppo di uomini armati ha ucciso quattro agenti di polizia in un’imboscata.

La situazione è così grave che i sindacati hanno chiesto l’evacuazione del personale impiegato negli impianti petroliferi della regione. Il susseguirsi delle violenze ha anche innescato il timore che i miliziani possono riaccendere la rivolta sedata grazie all’amnistia conclusa nell’ottobre 2009, dall’allora presidente Yar’Adua e i principali leader della guerriglia del Delta del Niger.

Gli osservatori sono convinti che, come nello scorso decennio, alle radici nella nuova crisi ci siano anche questa volta le rivendicazioni economiche della comunità locale, che lamenta la mancanza di una equa distribuzione delle ricchezze prodotte dall’attività estrattiva in una delle regioni più povere del pianeta. I profitti di questo enorme flusso di denaro hanno arricchito solo potentati locali e governanti di Abuja. Anche le bande criminali che controllano il territorio ne hanno tratto profitto, mentre il Delta è stato devastato irrimediabilmente dalle attività estrattive incontrollate, che hanno causato gravissimi danni all’ambiente.

Danni ampiamente documentati da dettagliati studi realizzati dall’Unep, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, oltre che da report di alcune ong quali Amnesty International, Friends of the Earth International ed Environmental Rights Action.

Negli ultimi mesi, il governo Buhari grazie alla collaborazione di Ciad, Niger e Camerun ha registrato buoni risultati nella lotta contro i fanatici islamisti di Boko Haram, che per la loro cieca crudeltà hanno perso buona parte dell’appoggio popolare. Nel Delta però la situazione è ben diversa perché il controllo dell’area è l’obiettivo di tutte le oligarchie e i potentati criminali del paese. La dilagante violenza degli ultimi mesi dimostra che l’armistizio del 2009 ha solo formalmente concluso la guerriglia dei gruppi militanti, ma non è riuscito a risolvere le cause di un conflitto che rischia di destabilizzare nuovamente l’intera Nigeria.

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