Lo scorso 29 maggio, il presidente del Gambia Yahya Jammeh ha dichiarato che non farà nessuna indagine sull’uccisione dell’oppositore Solo Sendang, come richiesto dal Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon e da Amnesty International. Sendang era stato arrestato il 14 aprile mentre stava partecipando a una manifestazione contro il regime di Jammeh, brutalmente repressa dalle forze di sicurezza locali.
La protesta di piazza è costata la vita a tre manifestanti, tra i quali Sendang, deceduto in seguito alle torture subite dopo l’arresto da parte della polizia. Da parte delle autorità locali non c’è stata alcuna ammissione del decesso, né tantomeno il cadavere è stato restituito alla famiglia per una degna sepoltura.
In un’intervista rilasciata lo scorso 29 maggio al settimanale Jeune Afrique, il presidente del Gambia ha affermato: “Non vedo il problema? È piuttosto frequente che la gente muoia in stato di detenzione o durante gli interrogatori. Per di più, questa volta c’è solo un morto e si chiede un’indagine?”.
Jammeh ha poi aggiunto di essere “fiero” di venire etichettato come un “dittatore”, precisando però di essere “solo un dittatore di sviluppo”, perché quando prese il potere il Gambia era uno dei paesi più poveri del mondo, mentre ora è tutto cambiato: c’è un’opposizione, un parlamento eletto e un sistema sanitario pubblico più efficiente.
Una dichiarazione che stride fortemente con la realtà gambiana segnata da un regime monolitico che governa il paese nel totale disprezzo dei diritti umani, come confermato dai numerosissimi casi, segnalati dalle organizzazioni umanitarie, di arresti arbitrari e conseguenti torture nei confronti degli oppositori del regime.
Nel marzo dello scorso anno, il Relatore speciale delle Nazioni Unite contro la tortura ha presentato un rapporto sul Gambia, in cui si legge che “la tortura è brutale e viene praticata mediante pestaggi, scariche elettriche e soffocamento”. Inoltre, alcuni detenuti hanno riferito di essere stati costretti a infilare la testa in una busta di plastica piena di acqua bollente e altri liquidi ustionanti.
Nel paese è inoltre in vigore una delle legislazioni più repressive della libertà d’espressione di tutto il continente con leggi che prevedono fino a quindici anni di carcere e pesanti multe per l’utilizzo “improprio” di internet. Senza contare, che solo pronunciare in pubblico il nome di Jammeh può portare all’arresto.
Per non parlare della grave situazione di pericolo in cui sono costretti a vivere omosessuali e transgender, soprattutto dopo l’approvazione nell’agosto 2014 della legge che introduce il reato di “omosessualità aggravata”, per il quale è previsto addirittura l’ergastolo.
Rispetto al parlamento eletto, occorre precisare che il colonnello Yahya Jammeh è uno dei più longevi dittatori dell’Africa, salito al potere nel luglio 1994 a seguito di un colpo di stato che ha destituito l’allora presidente Dawda Kairaba Jawara, che da 24 anni esercitava un dominio ininterrotto sul Paese africano.
Dopo il suo insediamento, Jammeh ha immediatamente represso tutti i partiti politici e abolito la Costituzione per potersi ricandidare alle elezioni senza alcun limite al numero dei mandati. Elezioni caratterizzate da pesanti brogli e scarsa trasparenza, che dal 1996 Jammeh ha regolarmente vinto, come è scontato che vincerà anche quelle che si terranno il prossimo primo dicembre.
Riguardo alla decantata efficienza del sistema sanitario pubblico, è giusto osservare che è effettivamente supportata dai dati aggiornati dell’Oms, ma la situazione sanitaria è quella tipica di un paese in via di sviluppo con una rilevante incidenza di malattie infettive e strutture carenti. Senza dimenticare, che nel piccolo Stato è ampiamente diffuso il traffico di medicinali contraffatti.
A tutto questo si aggiunge un’economia arretratae fortemente dipendente dagli aiuti internazionali, che negli ultimi anni è stata segnata dalla profonda crisi dei suoi principali comparti: l’agricoltura l’industria turistica. Una congiuntura che ha contribuito a far scivolare il Gambia nell’ultima posizione tra i paesi dell’Africa occidentale in termini di Pil pro-capite.
Secondo le stime ufficiali, la nazione africana è gravata da un tasso di povertà del 72% e di disoccupazione del 38%, mentre il dalasi gambiano ha subito un deprezzamento incontrollato nei confronti delle principali valute. A completare il quadro, la costante tensione alla frontiera con il Senegal, riaperta lo scorso 24 maggio, dopo essere rimasta chiusa per più di tre mesi a causa della decisione unilaterale presa da Jammeh di decuplicare le tariffe di ingresso in Gambia.
Tutto questo dovrebbe indurre a far riflettere sul perché, pur avendo meno di due milioni di abitanti, il Gambia è il terzo tra i paesi africani da cui proviene il maggior numero di migranti che attraverso il Mediterraneo cercano di entrare in Europa.