Sotto l’impulso del giovane governatore della regione di Dar es Salaam, Paul Makonda, nelle ultime settimane la politica repressiva della Tanzania contro i gay sta diventando sempre più aspra. Nel paese già sono in vigore leggi liberticide che prevedono arresti arbitrari, esami clinici forzati, divieti di assistere i pazienti affetti da Hiv e pene detentive fino a 30 anni. Ma la Tanzania non è l’unico paese africano che reprime le persone Lgbti.
Dopo la campagna di denunce e arresti, lanciata da Paul Makonda, Commissario della regione di Dar es Salaam e membro del partito di governo Chama Cha Mapinduzi, in Tanzania si intensifica la repressione contro i gay. Tutto è cominciato lo scorso 29 ottobre, quando nel corso di una conferenza stampa Makondaha incoraggiato i cittadini a denunciare i sospetti omosessuali che risiedono nel territorio di sua competenza, per poi trarli in arresto. Nei giorni seguenti all’invito alla delazione, i suoi funzionari hanno ricevuto più di 5mila chiamate o messaggi, attraverso le quali avrebbero individuato circa cento gay.
Paul Makonda non è nuovo a questo tipo di comportamenti, nel luglio 2016, durante una manifestazione politica, aveva minacciato di arrestare tutte le persone Lgbti e coloro che le seguivano sui socia media, oltre ad annunciare la decisione di chiudere tutte le associazioni che in Tanzania promuovono l’omosessualità. Mentre l’anno scorso, ha fatto prima arrestare e poi rimpatriare l’avvocato sudafricano per i diritti umani Sibongile Ndashe e due suoi colleghi per aver partecipato a una conferenza sulla salute e i diritti delle persone Lgbti.
Tuttavia, il 4 novembre il ministro degli Affari esteri della Tanzania, Augustine Mahiga, ha preso le distanze da Makonda affermando pubblicamente che «la campagna anti-gay proposta dal Commissario regionale rappresentava solo la sua opinione personale e non la posizione del governo di Dodoma, che avrebbe continuato a rispettare e proteggere i diritti umani internazionalmente riconosciuti».
Lo stesso giorno, però, Amnesty International ha rivelato che la polizia aveva arrestato dieci persone con l’accusa di essere omosessuali nell’arcipelago di Zanzibar, territorio della Tanzania con una status di semi autonomia. E nemmeno 24 ore dopo, il governo ha istituito una squadra speciale composta da agenti di polizia, psicologi e membri del Tanzania Communication Regulatory Authority per setacciare i profili social di tutti i tanzaniani, al fine di individuare quelli appartenenti a persone omosessuali.
Il presidente John Magafuli ha poi invitato tutti i cittadini a eliminare dai propri computer qualsiasi tipo di materiale pornografico, spiegando che «tutto ciò che ruota intorno alla sessualità rappresenta un male per la popolazione e un ostacolo al progresso del paese». Tutti questi sviluppi hanno indotto l’Unione europea a richiamare dalla Tanzania il proprio ambasciatore e rappresentante presso l’Eac (Comunità dei Paesi dell’Africa orientale), Roeland van de Geer, per la preoccupante situazione dei diritti umani nell’ex protettorato britannico, soprattutto nei confronti dei gay.
Malgrado ciò, venerdì scorso, il ministro degli Affari interni, Kangi Lugola, ha smentito le affermazioni di Mahiga dichiarando che nel paese africanol’omosessualità ei matrimoni gay restano illegali e il governo non tollererà in alcun modo tali atti. In effetti, l’omosessualità in Tanzania è illegale sin dall’epoca coloniale, ma dal 1998 è in vigore una delle leggi più dure al mondo, che punisce i rapporti sessuali tra persone adulte e consenzienti dello stesso sesso conpene detentive non inferiori a venti anni fino all’ergastolo.
Nel testo di legge non viene menzionata l’omosessualità femminile, ma anche questa è ugualmente punita. Senza contare, che le persone Lgbti sono arbitrariamente arrestate e sottoposte a forzati esami anali per provare il loro orientamento omosessuale. Una trattamento crudele e degradante, che secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) e la Commissione africana sui diritti dell’uomo e dei popoli (Achpr) equivale a una forma di tortura.
Le autorità tanzaniane hanno anche varato una legge che impedisce alle cliniche private di fornire assistenza ai malati di Hiv e Aids e per ridurre i rapporti omosessuali hanno elimitato l’acquisto dei lubrificanti intimi a base acquosa, essenziali per la prevenzione del virus.
Tuttavia, la Tanzania non è l’unico paese africano che di recente ha iniziato a reprimere le comunità Lgbti. L’omosessualità è illegale in ben 34 nazioni del continente ed è punibile con la morte in Mauritania, Sudan, Nigeria settentrionale e Somalia meridionale. Mentre negli ultimi anni anche Egitto, Kenya e Malawi hanno dato il via a una campagna di repressione contro le persone Lgbti.
I leader africani spesso citano la cultura e il cristianesimo per giustificare la messa al bando dell’omosessualità. Il presidente dell’Uganda Yoweri Museveni ha definito i gay «disgustosi» e dichiarato che l’omosessualità è stata importata dai colonizzatori occidentali; mentre il vicepresidente del Kenya, William Ruto, ha pubblicamente condannato la comunità Lgbti, in quanto violerebbe le convinzioni religiose e culturali della società keniana.
Ma un lungo studio sulle pratiche sessuali africane dimostra che nel continente le relazioni omosessuali erano largamente diffuse molto prima dell’arrivo delle potenze coloniali. Mentre un’altra ricerca dimostra che gli africani, come le persone di tutto il mondo, hanno sempre avuto una varia gamma di sessualità e identità sessuali e che l’omosessualità non solo era praticata, ma anche pienamente dalle comunità dell’Africa meridionale.
Nella realtà, molte delle leggi anti-omosessualità oggi in vigore in Africa sono state effettivamente promulgate dai governi coloniali e sostenute dalla crescente influenza dell’evangelismo cattolico e protestante, oltre che da un’interpretazione sempre più conservatrice e rigida della dottrina islamica.