Un nuovo rapporto di Human Rights Watch (Hrw) denuncia ulteriori abusi nelle due regioni anglofone del Camerun sia da parte delle forze di sicurezza governative che dei separatisti armati. Lo studio sottolinea l’urgente necessità di proteggere le comunità a rischio e di chiedere conto ai responsabili delle violazioni commesse nei cinque anni di un conflitto, che sembra destinato a durare ancora molto tempo prima di arrivare a una soluzione.
Il report rileva che lo scorso giugno, nella provincia del Nordovest, le forze di sicurezza camerunesi hanno ucciso due civili, violentato una donna di 53 anni, distrutto e saccheggiato almeno 33 case, negozi e la residenza del Fon del villaggio di Ndzeen, il capo della comunità locale che accentra su di sé tutti i poteri tradizionali. Mentre nella regione del Sudovest, i combattenti separatisti hanno ucciso un ragazzo di 12 anni, un insegnante di 51 anni e rapito quattro operatori umanitari.
Ilaria Allegrozzi, ricercatrice per l’Africa centrale presso Human Rights Watch, ha affermato che «le forze di sicurezza camerunensi hanno l’obbligo di contrastare gli attacchi dei gruppi armati e di proteggere la popolazione locale dalle violenze. Tuttavia, ancora una volta apprendiamo che hanno risposto alla minaccia dei separatisti con attacchi ai civili e gravi violazioni dei diritti umani».
Dall’inizio della crisi anglofona, alla fine del 2016, le forze governative hanno regolarmente commesso gravi abusi durante le operazioni contro i gruppi ribelli, che lottano per creare lo Stato anglofono indipendente di Ambazonia. Il recente aumento di tali violazioni è avvenuto nel corso di almeno 30 pesanti scontri a fuoco registrati nel giugno scorso, come riferito dal portavoce dell’esercito camerunense.
Tra il 12 e il 23 giugno, Hrw ha condotto interviste telefoniche con 10 vittime e testimoni di violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza, nonché con altre 18 persone, tra parenti delle vittime, giornalisti e attivisti della società civile. L’ong statunitense ha anche intervistato un familiare dell’insegnante ucciso dai combattenti separatisti e corroborato con materiale fotografico i resoconti di vittime e testimoni, dai quali è emerso che nelle primissime ore del 9 giugno, circa 150 membri delle forze di sicurezza dell’esercito regolare e del Battaglione d’Intervento Rapido (BIR), le stesse truppe utilizzate per neutralizzare l’azione degli estremisti di Boko Haram, hanno fatto irruzione nel villaggio di Mbuluf, nella provincia anglofona del Nordovest.
Dalle testimonianze raccolte, i ricercatori di Hrw hanno ricostruito che nel cuore della notte, mentre i militari camerunensi si avvicinavano a piedi, i residenti spaventati sono fuggiti nella vicina boscaglia. In prossimità del villaggio, le forze di sicurezza hanno fermato un gruppo di sei persone composto da marito e moglie, i loro due figli, un altro uomo e un’altra donna.
I soldati hanno chiesto alla coppia dove fossero i combattenti separatisti e se il marito fosse in possesso di una pistola. Quando i coniugi hanno risposto di non sapere dove fossero nascosti i ribelli e che il marito non aveva alcuna arma, i militi hanno minacciato di morte la coppia e violentato la donna. Mentre altri soldati hanno picchiato il marito e un altro membro del gruppo, per poi costringere tutte e sei le persone a camminare per circa due ore fino al villaggio di Ndzeen, dove i membri del BIR hanno distrutto e saccheggiato almeno 33 negozi e abitazioni, incluso il palazzo reale del Fon. Sempre i soldati del BIR, nel settembre 2019, avevano attaccato e saccheggiato un sito iscritto nella lista del patrimonio mondiale dall’Unesco: il palazzo reale di Bafut, nella provincia anglofona del Nordovest.
Le forze di sicurezza hanno poi proseguito a piedi verso il villaggio di Mbah, portando con sé il gruppo di sei persone. A Mbah hanno rilasciato tutti tranne il marito 58enne della sopravvissuta allo stupro, il cui corpo è stato trovato l’11 giugno crivellato di proiettili, nel villaggio di Tatum, a circa 30 chilometri da Mbah.
L’UNICEF ha riferito che lo scorso 6 giugno, i ribelli separatisti hanno attaccato un centro religioso a Mamfe, nella provincia del sud-ovest, uccidendo un ragazzo di 12 anni e ferendone uno di 16. Mentre il 1° luglio, i media locali hanno riportato che i combattenti separatisti hanno ucciso Fuh Max Dang, un insegnante di fisica presso la Government Bilingual High School di Kumba, nella provincia del Sudovest.
Hrw ha raccolto la testimonianza di un parente del defunto, il quale ha affermato che i combattenti separatisti avevano precedentemente minacciato il docente, avvertendolo che avrebbe dovuto affrontare serie conseguenze se non avesse smesso di insegnare.
L’ong newyorchese, già in precedenza aveva documentato reiterati attacchi separatisti contro insegnanti, studenti e scuole statali della regione, delle quali i gruppi ribelli hanno ordinato la chiusura. I media locali hanno anche riferito che il 12 giugno almeno 6 civili sono stati uccisi dall’esplosione di un ordigno piazzato dai separatisti a Kumbo, nella provincia del Nordovest.
Secondo Ilaria Allegrozzi, la crisi nella regione anglofona ha avuto un impatto devastante sui civili, ma i responsabili di gravi abusi devono ancora affrontare le conseguenze. Per questo, secondo la ricercatrice italiana, le autorità del Camerun dovrebbero indagare e perseguire gli aggressori e i loro comandanti, mentre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e le organizzazioni regionali dovrebbero imporre sanzioni mirate contro i responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani.
Le violenze perpetrate dalle forze di sicurezza e dai separatisti nelle province nord-occidentale e sud-occidentale hanno prodotto una grave crisi umanitaria, che ha causato 712mila sfollati interni nella regione anglofona, i quali hanno trovato rifugio nelle vicine regioni del Litorale, Ovest e Centro. Secondo le Nazioni Unite, almeno 2,2 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria. Ciononostante, l’accesso è fortemente limitato e gli operatori umanitari sono stati vittime di attacchi sia da parte delle forze governative che dei gruppi separatisti armati.
Nel dicembre 2020, le autorità camerunensi hanno sospeso tutte le attività di Medici senza frontiere (Msf) nella regione del Nordovest, accusando l’organizzazione di essere troppo vicina ai separatisti anglofoni e privando decine di migliaia di persone della possibilità di ricevere assistenza sanitaria.
In un apparente tentativo di frenare le denunce di violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza e impedire il monitoraggio internazionale della crisi anglofona, il governo ha negato l’accesso alle regioni anglofone ai giornalisti e ai gruppi impegnati nella salvaguardia dei diritti umani, tra cui Hrw. Mentre i combattenti separatisti hanno ostacolato l’accesso delle agenzie umanitarie nelle aree sotto il loro controllo.
C’è infine da ricordare, che nel dicembre 2019, l’Università di Toronto ha creato un database in cui sono archiviate numerose prove sulle atrocità e violazioni dei diritti umani avvenute nel corso della crisi anglofona. L’ateneo canadese ha dato vita all’iniziativa per raccogliere elementi da utilizzare nei futuri processi e contrastare la cultura dell’impunità che pervade questo conflitto.
Nella banca dati gestita da volontari sono attualmente archiviati più di 1.200 elementi di prova, tra i quali ci sono foto, video, audioclip e altri documenti. Il materiale raccolto testimonia il ricorso eccessivo della forza da parte di agenti di polizia contro i civili, l’incendio e il saccheggio di villaggi da parte dei separatisti e delle forze di sicurezza camerunensi, esecuzioni e torture. Materiale che in futuro risulterà prezioso per assicurare alla giustizia i responsabili di tali atrocità.
Articolo pubblicato su Eastwest.eu