Perché Boko Haram ha rapito le studentesse nigeriane?

boko-haram-admits-kidnappingsIl rapimento di quasi trecento studentesse nel nord della Nigeria ha suscitato l’indignazione di tutto il mondo, culminata con il lancio della campagna digitale su Twitter #‎BringBackOurGirls (Riportateci le nostre ragazze), che sta raccogliendo sempre più sostenitori, tra i quali moltissimi personaggi famosi ed influenti come Papa Francesco, Michelle Obama, Malala Yousafzai e tanti altri ancora. Il ratto è stato operato in due diverse occasioni da Boko Haram. 

Una locuzione in lingua hausa che identifica un gruppo di ribelli nigeriano di matrice radicale islamica definito nei giorni scorsi dal presidente americano Barak Obama “una delle peggiori organizzazioni terroristiche che uccide persone in modo spietato”. I membri di questo gruppo, lo scorso 14 aprile, in un liceo del villaggio di Chibok hanno rapito 276 studentesse, 53 delle quali sono riuscite a fuggire. Altre undici sono state catturate lo scorso 4 maggio nel villaggio di Warabe e in quello di Wala, situati nel nord del paese a ridosso del confine con il Camerun, nella stessa zona in cui i guerriglieri avevano rapito le altre 276. Al momento, sono 234 le ragazze che si trovano ancora nelle mani dei sequestratori.

All’inizio della settimana, il leader del gruppo islamista Abubakar Shekau ha rivendicato ufficialmente la responsabilità del rapimento in un filmato di 57 minuti, nel quale rivela che alcuni membri del suo gruppo avrebbero sposate a forza le giovani oppure le avrebbero vendute al mercato come schiave in nome di Allah

Gli Stati Uniti sono stati i primi a offrire il proprio sostegno per liberare le ragazze annunciando l’invio di un pool di esperti e anche di un esiguo numero di militari che si occuperanno di coordinare la comunicazione, la logistica e la raccolta di informazioni. Anche la Francia e la Gran Bretagna hanno manifestato la loro disponibilità a fornire un sostegno di intelligence e uomini delle forze speciali.

Un’offerta di aiuto è arrivata anche dal premier cinese Li Keqiang, che nei giorni scorsi era ad Abuja per il World Economic Forum sull’Africa, un palcoscenico che avrebbe dovuto dare lustro alla prima economia del continente per attirare investitori e che invece è stato offuscato dall’emergenza terrorismo. Questo è il quadro sintetico attuale della situazione, ma per comprendere l’intera questione che ha prodotto la mobilitazione internazionale è necessario aprire una parentesi su questo gruppo terroristico e le sue rivendicazioni.

Il Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’awati wal-Jihad (Gruppo dedito alla Propaganda degli Insegnamenti del Profeta e alla Guerra Santa), meglio noto in lingua hausa come Boko Haram che letteralmente significa “l’educazione occidentale è sacrilega/peccaminosa”, è un gruppo militante islamico nigeriano composto da cellule e fazioni sparse nel nord-est del paese, che all’inizio era sorto come movimento locale con scopi caritatevoli la cui attività era concentrata negli Stati del Borno e dello Yobe.

Boko Haram si è sviluppato a partire dal 2002 nell’area della moschea e del centro islamico della capitale del Borno, Maiduguri, dove un gruppo di giovani radicali islamici ha cominciato a indottrinare e reclutare i nuovi affiliati. La metamorfosi di Boko Haram da organizzazione caritatevole a movimento terroristico jihadista è avvenuta all’indomani della violenta repressione governativa del luglio 2009, nel corso della quale è stata distrutta la moschea di Maiduguri ed è stato ucciso il fondatore del gruppo Mohammed Yussuf.

Il movimento vuole trasformare il nord della Nigeria in uno Stato islamico senza cristiani, dove imporre la sharia. Similmente ai talebani, vuole negare alla popolazione, specie quella femminile, di avere accesso all’educazione scolastica ed è in questo assurdo orientamento che prende corpo la decisione di rapire le ragazze. Il tutto tenendo presente i ridottissimi livelli di scolarizzazione, laddove nel nord della Nigeria il tasso di istruzione femminile è inferiore al 5%.

I miliziani di Boko Haram con i loro attentati hanno causato decine di migliaia di vittime e pur avendo provati legami con altri gruppi terroristici africani, finora non hanno mostrato l’intenzione di estendere la guerra santa oltre i confini nigeriani. Anche se gli analisti ritengono che il gruppo si stia internazionalizzando, in virtù del fatto che la maggioranza dei suoi membri è di etnia kanuri e proprio l’aspetto dell’appartenenza etnica avrebbe facilitato i legami oltre frontiera, soprattutto dove è presente questo gruppo, ossia nell’area del lago Ciad, a cavallo del confine tra Ciad, Camerun e Niger.

Le ragioni che hanno alimentato lo sviluppo di questo movimento radicale islamico sono da ricercarsi nella diffusa corruzione che ha indebolito la fiducia dei nigeriani nello Stato, nella persistente crisi economica e nell’ampliarsi del divario sociale, prodotto dal grande squilibrio sulla gestione degli enormi proventi del petrolio. Questi fattori hanno consentito agli ispiratori del movimento di fare numerosi proseliti, indotti soprattutto ad abbracciare la causa di Boko Haram perché si sono sentiti discriminati e non protetti dal governo centrale.

Gli integralisti di Boko Haram si sono infiltrati nelle più remote regioni del paese, riuscendo a diffondere il loro messaggio più efficacemente di quanto non riesca per ora a fare il governo, anche e soprattutto attraverso la gestione di un sistema di welfare non solo alternativo, ma molto più efficiente di quello statale.

Un veterano del dialogo interconfessionale come il vescovo di Sokoto, Matthew Hassan Kukah, sostiene che “lo scontro religioso divampato negli anni novanta è solo la facciata di una lotta per il potere che sta consumando un paese ricco” e descrive Boko Haram come “un movimento di resistenza contro il malgoverno piuttosto che un gruppo puramente islamico”.

L’attuale leader è Abubakar Shekau, di cui non si conosce l’ età precisa e si dice che sia un teologo e un fine intellettuale, che ha sempre preferito un modesto stile di vita. Dopo essere stato per lungo tempo considerato morto assieme a Yusuf, ha preso il controllo di una fazione del Boko Haram nello Stato del Kano continuando a fomentare attentati contro i cristiani, le istituzioni, le forze armate nazionali e rapimenti ai danni di turisti, scolari, donne, imprenditori.

Il Dipartimento di Stato americano ha messo sulla sua testa una taglia di sette milioni di dollari, mentre il governo nigeriano ha stabilito una ricompensa di cinquanta milioni di naira per chi fornirà informazioni utili per la sua cattura. Dopo la diffusione del famigerato video in cui rivendica il rapimento delle studentesse è diventato il ricercato più importante dell’Africa.

Nel novembre 2013, Boko Haram è stata inclusa dal Dipartimento di Stato Usa nell’elenco delle organizzazioni terroristiche straniere, mentre nell’ultimo report elaborato dal National consortium for the study of terrorism and response to terrorism (Start) dell’Università del Maryland, Boko Haram è stato classificato il terzo gruppo terroristico più letale al mondo, superato solo dai talebani dell’Afghanistan e dallo Stato Islamico di Iraq e Levante (Isil, che opera in Iraq e Siria).

Nel tentativo di reprimere l’attività terroristica di Boko Haram, il presidente nigeriano Goodluck Jonathan, nel maggio 2013, ha dato il via all’operazione Restore Order nelle regioni in cui sono più attivi i membri di Boko Haram e dove sono presenti i santuari del gruppo terroristico, cioè i tre stati nord-orientali di Borno, Adamawa e Yobe, che tutti insieme hanno un’estensione pari all’intera Gran Bretagna. Nel contempo è stato decretato lo stato di emergenza per un anno, che dopo il sequestro delle studentesse sarà certamente prorogato, e sono state bloccate tutte le comunicazioni via cellulari nei tre Stati al fine di impedire le comunicazioni tra i terroristi.

Per far fronte all’escalation dell’attività dei Boko Haram, Jonathan ha reagito anche facendo ricorso alle Joint task force – Jtf, le unità speciali composte da uomini scelti della polizia e dell’esercito, attraverso cui gli ex presidenti Obasanjo e Yar’Adua avevano inutilmente tentato di domare le rivendicazioni del Mend.

Famose per la spregiudicatezza delle loro azioni contro i ribelli del Delta del Niger, le Jtf questa volta sono state inviate negli Stati nordorientali roccaforti della setta islamica riuscendo ad allontanare i miliziani di Boko Haram da gran parte delle città, ma non dalle aree rurali che continuano a essere sotto assedio, rendendosi responsabili nel corso del loro operato di almeno la metà delle morti violente nella Nigeria nordorientale e di molteplici violazioni dei diritti umani.

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