Hissène Habré, l’ex presidente del Ciad che ha trascorso 22 anni in esilio in Senegal, è stato arrestato dalle forze d’intervento paramilitari domenica scorsa e formalmente incriminato per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e torture commessi nel suo oaese tra il 1982 e il 1990. L’ex capo di stato africano sarà giudicato da un Tribunale speciale appositamente creato a Dakar e presieduto dal procuratore generale Mbacké Fall. Habré, conosciuto anche come il Pinochet nero, è accusato di aver eliminato, durante gli otto anni del suo regime, circa 40mila persone, per motivi politici ed etnici.
Molte delle quali hanno perso la vita in carcere o sono state uccise con esecuzioni sommarie, di queste ultime solo 4.000 sono state identificate.
Oggi settantunenne, l’ex dittatore di etnia tubu era salito al potere in Ciad con un colpo di stato appoggiato da Francia e Stati Uniti e durante il suo governo ha continuato a ricevere milioni di dollari in aiuti militari dai due paesi.
Dopo la fuga in Senegal, sottrasse una cospicua somma di denaro dalle casse dello Stato per garantirsi una rete di sostenitori nel paese, che gli ha permesso di sottrarsi alla giustizia per tutto questo tempo.
La notizia del suo arresto segna una svolta anche per il Senegal, poiché il dittatore finora era stato protetto dal governo dell’ex presidente Abdoulaye Wade, che aveva impedito ogni tentativo di azioni penali nei suoi confronti.
Dopo la sconfitta elettorale di Wade, il nuovo presidente, Macky Sall, si era detto pronto a prendere provvedimenti contro i funzionari corrotti, che erano stati protetti dal governo precedente.
E Sall, nel febbraio scorso, ha mantenuto la promessa istituendo un tribunale speciale per perseguire i crimini commessi da Habré, che peraltro nel 2008 era già stato condannato a morte in contumacia per crimini contro l’umanità da un tribunale di N’Djamena.
Una commissione d’inchiesta ciadiana ritiene che Habré sia stato responsabile anche di oltre 200mila casi di tortura. Dodici anni fa, Reed Brody, un avvocato di Human Rights Watch, che si era impegnato ad aiutare gli ex prigionieri politici e le altre vittime della dittatura di Habré, trovò una serie di documenti presso la sede abbandonata della famigerata Dds (Direction de la Documentation et de la Sécurité), la polizia politica a cui venivano affidati tutti i lavori sporchi.
I documenti ritrovati da Brody riportano i casi di 12.321 vittime di abusi, tra cui 1.208 persone uccise o morte in carcere. Materiale che ora potrà essere usato come prova per il processo, che sarà celebrato non prima però del prossimo anno o, nella peggiore ipotesi, nei primi mesi del 2015.
La Dds è diventata tristemente famosa in quegli anni per i suoi metodi brutali di tortura, al punto che il Habré è anche noto come il Pinochet africano.
Un caso emblematico sono le atrocità perpetrate nel centro di detenzione di N’Djamena, passato alla cronaca come “La piscina”. Qui, i prigionieri più fortunati morivano letteralmente soffocati nel giro di quattro o cinque giorni, stipati in celle sovraffollate di sei metri quadrati con poca acqua o cibo e i loro cadaveri venivano lasciati marcire nell’intento di propagare malattie tra i detenuti.
Altri invece venivano costretti a respirare i gas di scarico delle macchine o infilati ancora vivi in sacchi della spazzatura e gettati nel Chari, il fiume della capitale.
Tuttavia, il metodo più diffuso di tortura era costringere per giorni il prigioniero in una posizione conosciuta come arbatachar, che consiste nel legare saldamente le braccia e le gambe della vittima dietro la schiena, provocando un dolore intenso che spesso induceva alla paralisi e alla cancrena.
Anche se non ha trovato una conferma ufficiale, sembra che la spinosa questione della cattura di Habré sia stato oggetto di discussione nel corso del colloquio tra Macky Sall e il presidente americano Barack Obama, in visita a Dakar pochi giorni prima dell’arresto e della successiva incriminazione del dittatore.
Dopo la notizia della messa in stato d’accusa del despota ciadiano, particolarmente significativo è stato il commento di Clément Abaifouta, presidente dell’Associazione Vittime dei crimini del regime di Hissene Habré (AVCRHH).
Quando era prigioniero politico, Abaifouta fu costretto a scavare fosse e fabbricare tombe per seppellire centinaia di altri detenuti. Non poteva, dunque, far altro che esprimere viva soddisfazione per la cattura di Habré, dichiarando: “Alla fine riusciremo a confrontarci con il nostro aguzzino e a riottenere la nostra dignità come esseri umani”.
la politica è sempre zona d’ombra. perchè lasciare libero per tutti questi anni una canaglia del
genere’ A chi faceva comodo tenerlo in vita’
Speriamo che riceva la giusta punizione, prima che qualcuno lo rilasci, magari per motivi
di salute!!!!!