Il cambiamento climatico frena lo sviluppo dell’Africa

Le ultime stime del possibile impatto del riscaldamento globale indicano che gran parte del continente africano diventerà più arida e nel suo insieme sperimenterà una maggiore variabilità climatica. Tutto questo, nonostante l’Africa abbia contribuito in misura quasi irrisoria allo storico accumulo dei gas a effetto serra (GHGs). Il cambiamento climatico ha colpito con estrema durezza il continente nero minando alla base il suo vulnerabile settore agricolo.

Un settore dal quale dipende il 70% della popolazione, che riveste un ruolo determinante sulla crescita economica africana. Il climate change avrà quindi notevoli conseguenze sullo sviluppo dell’Africa, poiché l’incertezza climatica rappresenta una barriera agli investimenti, complicando la pianificazione a lungo termine e la progettazione di infrastrutture.

I disastri naturali sono in grado di incidere in modo significativo sulla performance commerciale, che sarà particolarmente penalizzata nei paesi in cui l’agricoltura, settore maggiormente vulnerabile agli effetti del clima, costituisce un’ampia quota del Pil.

Nell’Africa Sub-Sahariana, un riscaldamento tra 1,5 e 2 gradi centigradi implicherebbe nel decennio 2030-2040 una perdita del 40-80% della terra coltivata e adatta alle colture di mais, miglio e sorgo. Se il riscaldamento dovesse raggiungere i 4 gradi centigradi, entro il 2080, le precipitazioni annue diminuirebbero del 30% in Africa australe, anche se aumenterebbero in Africa orientale, con il probabile avvio di processi migratori conflittuali.

Un rapporto dell’Unep, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’ambiente, presentato lo scorso 19 novembre alla Conferenza internazionale di Varsavia sul clima (Cop 19), indica che in Africa i costi per l’adattamento all’evoluzione delle condizioni climatiche potrebbero toccare i 200 miliardi di dollari l’anno entro il 2070, se il riscaldamento non supererà i 2 gradi centigradi, ma arrivare addirittura a 350 miliardi di dollari se la temperatura salirà ulteriormente.

Tra il 2001 e il 2012, sono state registrate le più alte temperature dei tempi moderni, mentre rispetto alla fine dell’Ottocento, la Terra è oggi più calda di circa 0,7 gradi centigradi. Mai, almeno nei tempi recenti, una simile variazione era avvenuta in così breve tempo.

Il riscaldamento è stato particolarmente forte in Africa, dove a causa di questo fenomeno, ogni anno scompaiono quattro milioni di ettari di foreste con una media doppia rispetto al resto del mondo, mentre il 50% dei ghiacciai in Uganda si sta ritirando e in Senegal l’urbanizzazione sta riducendo enormemente le aree verdi. Lo scenario più grave riguarda la riduzione delle precipitazioni, che provocherà un aumento delle carestie e della desertificazione.

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Lo sconvolgimento dell’assetto climatico

Nei prossimi anni, l’aumento delle temperature potrebbe essere superiore agli 0,2 gradi per decennio e raggiungere tra 1,8 e 4 gradi centigradi di aumento globale alla fine del secolo. I climatologi danno per certo che tale fenomeno comporterà l’estinzione di molte specie animali e vegetali, oltre allo sconvolgimento dell’assetto climatico così come lo conosciamo.

L’attuale cornice di riferimento nella lotta al cambiamento climatico è costituita dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), trattato firmato nel 1992 al Summit della Terra di Rio de Janeiro, in vigore dal 1994, e dal più efficace e legalmente vincolante Protocollo di Kyoto, firmato nel 1997 e in vigore dal 2005, con un periodo di riferimento compreso tra il 2008 e il 2012, che in occasione della Conferenza internazionale di Doha sul clima (Cop 18) è stato prolungato fino alla fine del 2020.

In virtù di questo accordo, i paesi industrializzati firmatari sono chiamati a operare una riduzione delle emissioni degli elementi inquinanti almeno del 5% rispetto ai livelli registrati nel 1990.

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