Trump sospende la legge che traccia i minerali da conflitto

I signori della guerra congolesi e le aziende non-etiche statunitensi saranno tra i primi i beneficiari dell’applicazione delle misure con cui il presidente Usa Donald Trump vuole rendere esecutiva la revisione della riforma di Wall Street, nota come Dodd-Frank Act, tra le pieghe della quale c’è anche la Sezione 1502, che obbliga le compagnie statunitensi a rendere pubblici e rendicontare con cadenza annuale tutti i traffici e i commerci riguardanti i cosiddetti minerali da conflitto.

La legge, voluta nel 2010 dall’amministrazione Obama, è stata varata per tutelare i consumatori e per impedire che si ripetesse un evento come la crisi dei mutui subprime del 2007, ma per il nuovo inquilino della Casa Bianca è soltanto un’inutile freno per il rilancio dell’economia statunitense. La Sezione 1502 sotto il controllo della Securities and exchange commission (Sec) prevede l’adozione di regole precise che obbligano le compagnie statunitensi a rendere pubblici, con cadenza annuale e relativa rendicontazione, tutti i traffici e i commerci riguardanti minerali che stanno alla base di molti conflitti nella Repubblica democratica del Congo e nella regione dei Grandi Laghi.

La normativa prescrive anche l’espletamento di attività di monitoraggio sul rispetto dei diritti umani presso gli stabilimenti delle società statunitensi e in quelli dei fornitori delle materie prime. Tuttavia, nel 2015 tale regolamentazione è finita al centro di ricorsi e revisioni per proporne l’abrogazione, dopo essere stata contestata più volte da alcuni membri del Congresso americano, secondo cui violerebbe il primo emendamento, quindi incostituzionale. I detrattori sostengono inoltre che l’introduzione della norma ha prodotto un sensibile aumento della disoccupazione in Congo, dal momento che un elevato numero di piccole miniere hanno chiuso a causa del calo della domanda.

Di sicuro, la sospensione per due anni della Sezione 1502, proposta dal  presidente Trump sulla base di supposte minacce alla sicurezza nazionale (stratagemma che non ha esitato a usare per applicare il cosiddetto “Muslim ban”), rischia di togliere ogni forma di controllo alla provenienza dei minerali estratti in zone di guerra. L’interruzione rischia seriamente di compromettere anni di sforzi per giungere all’identificazione delle risorse e impedire ai consumatori finali di smartphone, tablet, personal computer, gioielli e altri prodotti di larga diffusione, di finanziare a loro insaputa stupri, abusi e conflitti.

Mentre l’Unione europea, il 16 giugno 2016, ha approvato un testo che introduce la tracciabilità obbligatoria per le  imprese europee che utilizzano i minerali provenienti da aree interessate da guerre, garantendo informazioni su tutte le misure prese per tracciarli. La  disposizione introdotta dall’Ue ha tuttavia animato un aperto dissenso all’interno delle organizzazioni della società civile, che hanno definito l’accordo parziale perché riguarda soltanto gli importatori di minerali grezzi e quelle aziende (fonderie e raffinerie) che procedono alla prima trasformazione. Malgrado ciò, la misura legislativa testimonia che l’approccio di Bruxelles alla dolorosa questione è basato su dei parametri ben diversi da quelli finora adottati dall’amministrazione Trump.

Le principali organizzazioni impegnate nella salvaguardia dei diritti umani sono profondamente preoccupate per la possibile sospensione della normativa statunitense sul controllo dei minerali di conflitto. Amnesty International ha bollato come vergognosa la proposta avanzata dal presidente statunitense, poiché determinerebbe una pesante battuta d’arresto al tentativo di arginare lo sfruttamento delle popolazioni dove vengono estratti i preziosi minerali.

Global Witness, ha dichiarato che il blocco del regolamento sui minerali dei conflitti sarebbe un autentico regalo per i trafficanti illegali e le bande armate che cercano di trarre profitto dai minerali ‘insanguinati’, cosi come costituirebbe un’ottima occasione per le aziende che intendono concludere affari con criminali e corrotti.

Human Rights Watch, ha spiegato che i gruppi armati attivi in Congo hanno spesso utilizzando i profitti ricavati dalla vendita di minerali per comprare armi e finanziare le loro attività, grazie alla complice compiacenza di grandi industrie che traggono enormi guadagni da questi conflitti e dal mercato illegale dei minerali, pagati fino al 70% in meno rispetto al loro valore di mercato. L’ong newyorchese ha citato il caso di alcune città minerarie nel distretto dell’Ituri nel nord-est della Repubblica democratica del Congo, dove tra il 2002 e il  2004 i signori della guerra hanno combattuto uccidendo circa 2.000 civili e commesso crimini di guerra, stupri e torture.

Partnership Africa Canada (Pac), un’organizzazione non governativa di base a Ottawa, che con il sostegno finanziario del governo canadese ha collaborato a lungo con i paesi dell’Africa centrale per sostenere la creazione di un sistema di certificazione per i minerali, ha reso noto che adesso i risultati raggiunti potrebbero essere compromessi dall’imminente provvedimento di Trump.

Senza dimenticare, che la sospensione della misura aumenterà la possibilità di instabilità nella Repubblica democratica del Congo, dove lo scorso 19 dicembre, alla scadenza del mandato il presidente Joseph Kabila si è rifiutato di lasciare il potere, imponendo di rinviare le elezioni alla fine di quest’anno. alla scadenza del proprio mandato  E l’area dei minerali insanguinati, quella delle provincie nord-orientali del paese, è ancora più a rischio di violenze in questa fase.

Categorie: Conflitti, Diritti umani, Traffici illeciti | Lascia un commento

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